Aspettando la fine del mondo, Blog

Un Viaggio nella Konka

Pubblicato il 12 Mar 2015

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Una “conca”, quella ternana, vissuta giornalmente da una serie di personaggi che si rincorrono, racconto dopo racconto, incrociando le loro vite come accade poi nel quotidiano di una comunità nel reale. Tre i protagonisti assoluti della scena, l’investigatore Fabrizio Muraglia, il pizzaiolo Nico Feliciani e il Maresciallo Mancinelli, ai quali il lettore è libero di dare credibilità e preferenze. La nostra, di preferenza, è caduta sinceramente  su Muraglia, soprattutto per il suo rapporto con le “amiche” che lo accompagnano mentalmente e sembrano voler rappresentare, di volta in volta, quell’istinto che tutti probabilmente abbiamo in fondo alla nostra coscienza ma che non sempre riusciamo ad ascoltare o con cui non siamo in grado di convivere. Il “panorama” – non solo geografico in cui viene descritta la città nativa dell’autore, Terni, ed alcuni scorci e paesi nei dintorni –  è vasto: si trovano argomenti che spaziano dalla droga alle sette religiose, dalla prostituzione alla truffa, senza dimenticare un argomento attuale come quello che tocca l’ambiente lavorativo. Con “Professionisti e operai” Il libro si chiude, infatti, lungo Viale Brin, la strada che porta dritta verso le Acciaierie.

Attuale dunque nei temi  e mai noioso o scontato, il lavoro di Alessandro Chiometti  – di cui avevamo letto alcuni scritti più impegnati e che, dunque, ci ha stupito per la sua versatilità – si presenta con un linguaggio sciolto, di una semplicità ed un’ironia (impossibile non coglierla) che invogliano il lettore a continuare a scorrere le pagine, anche chi – come noi – non ha una passione per i racconti. Un libro in cui ci si può ritrovare, ci si sente “a casa” – e per casa il riferimento non è forzatamente legato alla provincia umbra, ma tranquillamente ad una qualsiasi città simile per dimensioni e popolazione – dove sembra quasi  di conoscere i vari personaggi che si alternano tra le righe.

Il volume è stato presentato sabato 20 febbraio negli ambienti della Biblioteca Comunale di Terni. Per l’occasione, abbiamo deciso di rivolgere alcune domande allo scrittore.

Un libro incentrato su Terni, sulla sua quotidianità, sui suoi (più o meno) immaginari abitanti, la sua storia… un grande amore per la tua città o un modo per rivalutarla agli occhi dei lettori, soprattutto non locali?

Sicuramente c’è dell’amore verso la mia città, che in questi quarantadue anni di vita mi ha visto crescere fra le sue vie e i suoi locali. Ma in realtà non è un tentativo di rivalutazione è una scelta letteraria, come insegna il grande Stephen King nei suoi saggi sulla scrittura, bisogna sempre scrivere di ciò che si conosce bene, altrimenti si fanno brutte figure. E allora quale città conosco meglio di Terni per ambientare i mie personaggi e farli trovare in situazioni realistiche? Ho scritto anche racconti ambientati fuori Terni… però per ambientare un romanzo a episodi, come ci piace definire Konka (a me e alla casa editrice intendo) avevo bisogno che anche l’ambiente giocasse un ruolo determinante, quindi ho scelto la città che conosco meglio. Ciò ovviamente non toglie che le dinamiche generali in molte città di provincia siano simili.

Prove di fuga e resistenza: cosa offre una città come Terni alle nuove generazioni? Fa venir più voglia di “fuga” o di “resistenza”?

Il primo istinto è quello di fuggire, ed è comprensibile. Ma questo non è un problema di Terni, è un problema di quasi tutta l’Italia. Chi glie lo fa fare ai giovani ragazzi, magari laureati, di stare a combattere in un paese la cui burocrazia e l’assurdo apparato normativo ti costringono ad essere un funambolo per mantenere aperta una qualsivoglia attività? Chi lo fa fare di pagare le tasse quando siamo l’ultimo paese dell’Europa Occidentale a non avere neanche un reddito sociale minimo? Chi te lo fa fare di studiare e prendere una laurea difficile come in Chimica o in Biologia se poi l’unica speranza che hai è un contratto precario di 900 euro al mese quando il tuo omologo Belga ne prende 3000 di euro? Ripeto non è un problema di Terni, ma dell’Italia.
Poi ovviamente c’è chi rimane, per tanti motivi, perché ormai si è abituato a tirare la cinghia con gli stipendi più bassi d’Europa, perché qui ha le sue radici e la sua famiglia, perché comunque non sopporta i climi nordici. E allora resiste, rimbocca le maniche e cerca di far qualcosa per migliorare la società. Ma è dura combattere con l’indifferenza del paese che nonostante la sua storia è quello che legge meno libri e giornali, che va meno al teatro, che va meno al cinema (e quando ci va è per vedere i cinepanettoni) di tutta l’Europa.

E verso quale concetto, tra i due, spingeva te quando della nuova generazione eri parte integrante? 

Io sono stato adolescente negli anni’80 e ragazzo negli anni’90, il declino culturale me lo sono beccato tutto. Il problema è che a rivedersi oggi quando a sedici anni aspettavi la domenica sera che mandassero in onda il “drive in” (la cultura soldi-tette-qualunquismo che oggi imperversa è cominciata tutta da li) nessuno, neanche i nostri genitori che qualche cosa avevano intuito, poteva immaginare che il degrado fosse così rapido e inarrestabile. Alla fine degli anni ’90 c’è stato un certo ritorno di coscienza civile ma non ha avuto molta fortuna. Poi è arrivato Internet e qualcosa, per fortuna si è mosso anche se oggi con il web 2.0 c’è un abuso di questo mezzo o quanto meno un uso improprio.
Ad ogni modo, tornando alla fine degli ’80 inizio dei ’90 la voglia della “fuga” cominciava a farsi sentire (come testimoniano i film di Salvatores) ma di certo non era una necessità, mentre oggi siamo praticamente a questo.

Citi Luciano Ligabue:  “Una piccola città che, sana o no, un’anima però ce l’ha, se ripassate fra cent’anni ci trovate sempre qua”. Vogliamo chiederti: ripassando per Terni, non fra cent’anni ma magari tra una decina, la troveremo ancora al suo posto, ovvio, ma come la troveremo? Sana, in progresso o in regresso economico e sociale?

Non ho la facoltà di prevedere il futuro, i fattori che determineranno questo sono tanti. Posso dire che spero sinceramente che, se non fra dieci, magari tra venti anni, saremo riusciti a staccarci un po’ dal rapporto di dipendenza assoluta con la presenza dell’Acciaieria. Spero che per allora si siano sviluppate nuove realtà magari nell’ambito culturale che sostituiscano un po’ la dipendenza vitale dal colosso di Viale Brin. Questo non vuol dire che spero che l’Acciaieria chiuda, anzi. Ma spero che venga affiancata da altro.
Certo non è semplice, me ne rendo conto. Ma se non si inizia a progettare certe cose, come del resto hanno fatto a Bilbao a tempo debito, le cose non cambieranno mai e saremo sempre alla mercé di multinazionali che ormai non rispondono neanche alla logica del profitto ma a quella della speculazione. Basta vedere quello che è successo con la Basell sempre a Terni, uno stabilimento in attivo di centinaia di milioni di euro chiuso per far salire il prezzo del polipropilene, duecento famiglie senza un lavoro, ragazzi che sono stati costretti ad emigrare all’estero o a re-inventarsi nuovi lavori da un giorno all’altro. E qualcuno parla ancora di mercati che si autoregolamentano.

“Sempre più convinto che il disimpegno politico e civile non rappresenta una soluzione ma uno dei problemi”. A Terni, secondo te, c’è abbastanza impegno (politico e civile) e, se c’è,  è ben impiegato?

Si, sicuramente a Terni c’è un fermento civile e culturale maggiore che in tante altre città. Questo lo posso dire con certezza. Il problema è che tutto questo fermento da diversi anni è lasciato in balia di se stesso da  parte delle Istituzioni (a causa delle famigerate spending review) e spesso e volentieri viene ignorato dai media locali che parlano quasi esclusivamente di quello che fanno le diocesi e i partiti. Se un’associazione culturale indipendente porta anche grossi nomi del panorama culturale italiano a fare delle conferenze deve andare letteralmente a elemosinare un articoletto sui giornali che preferiscono inseguire la polemica della panchina rotta al giardino pubblico.

“Eterno studente, consapevole di non sapere mai abbastanza”. Non sempre si ha l’umiltà di capire che la “cultura” è un meccanismo, se ci passi il termine, in continuo movimento  e non è facile stare al suo passo. Immaginandoti, dunque, sempre alla ricerca di un miglioramento culturale, quanto il presente è influenzato dal passato (nella tua ricerca personale) e quanto sei aperto a nuovi orizzonti?

La prima regola di chi è in ricerca di miglioramento la insegna Socrate, “so di non sapere”. Nella mia autobiografia in terza di copertina l’ho modificata un po’ scrivendo “consapevole di non sapere mai abbastanza” perché la frase del grande Maestro è stata purtroppo strumentalizzata spesso in senso antiscientifico. Socrate non avrebbe mai usato il suo motto per confutare il teorema di Pitagora, ma per mettere in difficoltà quelle  persone che ritengono di avere la risposta a tutto, anche a quei temi in cui una risposta univoca non ci può essere. Quindi attenzione, “so di non sapere” vale come approccio in un dialogo socratico, ma noi uomini del terzo millennio dell’era volgare di cose in realtà ne sappiamo tantissime, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Purtroppo questo “sapere” non è condiviso e così se alle persone comuni dici che i loro i-pad funzionano grazie alla “forza” degli Jedi, si stringono le spalle e pensano “basta che funzioni”. Per venire alla domanda, ritengo di avere una mente discretamente aperta per valutare il “nuovo” e l’inaspettato. Ma lo valuterò sempre da un punto di vista razionale con il caro vecchio metodo scientifico. Nel nostro paese purtroppo questo metodo non ha molta fortuna e come racconto nel libro spesso la gente è preda dei santoni (di ogni genere) che promettono miracoli medici e non solo. Quindi da parte mia nessuna preclusione a nuove teorie scientifiche, filosofiche o quant’altro ma senza dimenticare quello che conosciamo.

Per chiudere:  dove troveremo Alessandro Chiometti in un futuro prossimo? A bere una tazza di caffè con Fabrizio, magari intento a confrontarsi con  le sue voci, a dibattere con l’istituzionale Maresciallo su qualche vicenda letta sul giornale o a mangiarsi una pizza impastata da Nico, libero da pensieri e con la penna in mano, pronto per scrivere ancora?

Sicuramente con la penna in mano, o meglio con la tastiera davanti, pronto a scrivere ancora. Con Nico e Fabrizio e ovviamente il maresciallo che forse torneranno ancora a far visita… o forse no. L’importante è non perdere l’ispirazione e la voglia di raccontare storie. Come sanno i miei amici di Facebook, dopo l’uscita di “Konka”, sul sito del gruppo di scrittori di cui faccio parte son apparsi altri quattro racconti scritti da me, due sono horror, uno sullo stile di konka e uno… beh un po’ adolescenziale. E un quinto non lo posso pubblicare fino a che il premio Bukowski 2015 non sarà finito altrimenti mi escludono dal concorso.
Insomma per adesso ho voglia di raccontare altre storie, forse saranno pubblicate come quelle di “konka” o forse no, nel tal caso resteranno per pochi intimi e per i pochi visitatori del sito www.scrittorisopravvissuti.it ma non sarà un dramma. Per me è davvero un sogno realizzato quello di aver pubblicato “konka” e colgo l’occasione per ringraziare la Dalia Edizioni che su questo progetto ha creduto e investito senza chiedermi un euro per la pubblicazione. Quello che dovrebbe fare un normale editore, ma in questo paese come sappiamo il normale diventa eccezionale e trovare una casa editrice non a pagamento oggi è quasi impossibile.

Intervista di Francesca Cecchini ad Alessandro Chiometti pubblicata il 22/2/15 su musicaeventiautore.it