“Lascialo!” gridava il signor Camuso a gran voce, mentre strattonava con forza lo scrigno, nel vano tentativo di toglierlo dalle mani del suo inserviente. Tutto era iniziato un paio di giorni prima, quando al signor Camuso era arrivato un pacco con un biglietto non firmato. Diceva solo “a Raimondo, per ricordare”. Ora, dovete sapere che il signor Raimondo Camuso si era trasferito dal sud a Milano, per far fortuna, e così era stato. Era riuscito ad aprire un’azienda per mantenere i figli al meglio. Provenendo da una famiglia umile di sette figli, sapeva benissimo quanto fosse difficile mantenerne una con tutti i comfort, e quindi si era rimboccato le maniche per regalare ai suoi eredi un futuro di prosperità e mandare qualche aiuto a casa dai suoi sei fratelli rimasti al sud. Tuttavia, proprio per il grande successo ottenuto, il signor Camuso era diventato previdente, forse un po’ troppo. Si potrebbe dire che sfiorasse i limiti della paranoia: ovunque andasse, portava con sé almeno due guardie del corpo. Inoltre, purtroppo, si sa, i soldi avevano corrotto il suo animo gentile e semplice, facendolo diventare avido e meschino. Badate bene, Raimondo Camuso non era un uomo malvagio. Era solo un uomo, e in quanto tale, imperfetto. Aveva faticato per ottenere il suo piccolo impero aziendale, e proprio in virtù di questo ne era molto geloso.
Quando quel mercoledì mattina era arrivato quel pacco misterioso, il signor Camuso ne era stato subito allontanato. Si era scoperto che dentro c’era uno scrigno, ma cosa contenesse ancora non si sapeva, perché le guardie del corpo non avevano voluto farlo aprire a lui, ma nemmeno il signor Camuso aveva voluto che altri aprissero la sua posta. E così, quel pacco era rimasto per qualche ora sul comodino del signor Camuso. L’inserviente, il quale nel pomeriggio stava pulendo la casa, arrivato in camera del signor Camuso, era stato attratto da un profumo molto, molto invitante proveniente dal comodino. Non era un profumo, o meglio, lo era, ma assomigliava più a un odore di cibo che a una fragranza da spruzzarsi sul collo. Si era avvicinato allo scrigno quatto quatto, ma, proprio quando stava per metterci le mani era arrivato il signor Camuso, il quale, cogliendolo sul fatto, l’aveva rimproverato e gli aveva proibito di avvicinarsi ancora alla sua stanza. L’inserviente, deluso, continuò il suo lavoro altrove.
Durante la notte, il profumo si era sparso in ogni stanza della villa, in ogni remoto angolino, e iniziarono a verificarsi cose da pazzi: la moglie del signor Camuso era una donna dell’alta borghesia, non molto incline a effusioni nemmeno nel talamo nuziale. Era stata educata nei migliori collegi, e perciò tendeva sempre a tenere un comportamento molto decoroso e molto pudico. Non era fredda, era solo timida, e il signor Camuso era stato l’unico a capirlo e a conquistare il suo cuore. Tuttavia, tornata a casa, la signora Camuso fu come stregata da quell’odore delizioso. Andò di corsa dal marito, ed iniziò a chiedergli da dove provenisse quell’aroma, ma quello non poteva sapere di cosa stesse parlando: era l’unico che non riusciva a percepire odori dato che proprio in quei giorni soffriva di un forte raffreddore che gli bloccava entrambe le narici.
“Raimondo, dài, come fai a non saperlo? Cos’hai fatto preparare alla cuoca stasera?”
“Ma cosa vai dicendo, Lucilla?”
La signora Camuso era scoppiata poi in fragorose risate durante la cena, tanto che il marito le chiese se avesse assunto qualche sostanza illegale quel giorno, come spesso capita ai ricchi, ma la signora, invece di indignarsi come avrebbe fatto in una situazione usuale, gli saltò addosso e gli fece passare una notte di passione. Come dicevo prima, il signor Camuso era semplicemente un uomo, e quindi smise di fare domande.
I domestici, la mattina seguente, invece di venire a svegliare i due padroni di casa alle otto del mattino, si presentarono alle sei spalancando le tende. Lucilla, memore della notte precedente, si sbrigò a coprirsi fin sopra i capelli con il lenzuolo, senza risparmiarsi un gridolino di vergogna. “Su, su, signori, forza, alzatevi!” ribadiva una di loro, occupando lo spazio visivo dei signori Camuso con il carrello della colazione e con il proprio corpo corpulento. “Ma sono appena le sei! Siete impazziti!?”, provò a ribattere il padrone di casa, che tuttavia fu prontamente zittito da un cornetto caldo infilato in bocca. I domestici lasciarono in fretta la stanza dopo aver posato il vassoio sul comodino della signora. Quando Raimondo si voltò verso il proprio comodino, vide che lo scrigno era scomparso. Allora, noncurante della propria nudità, corse dietro ai domestici per riprendersi ciò che era suo, e una volta fatto, li licenziò tutti.
Il mistero attorno allo scrigno cresceva col crescere della preoccupazione del signor Camuso. Le sue guardie del corpo quel giorno, furono particolarmente insistenti nel chiedergli di cedere loro lo scrigno e assicurarsi che fosse sicuro. Provarono a far leva sulla paura, e poi, visto che non sortiva effetti, sulla curiosità.
Ma il signor Camuso rispose: “Sono capacissimo di decidere da solo come e quando aprire la mia posta, vi pago per salvarmi la vita, non per fare gli opinionisti!”
Raimondo passò la giornata chiuso nel suo ufficio, con lo scrigno sempre sotto stretta sorveglianza. In pochissime ore, avevano iniziato a circolare le più strane leggende circa quell’oggetto misterioso. Coloro i quali avevano avuto la fortuna di assaporarne l’odore affermavano che dentro ci fosse un filtro magico che faceva impazzire tutti; altri che ci fossero dei gioielli, e più la voce arrivava lontano, più la verità veniva distorta.
Quando il signor Camuso rientrò a casa, i suoi figli gli corsero incontro, e per restituire loro tanto affetto, egli si dimenticò dello scrigno il tempo che bastò per farlo rubare. Se ne accorse troppo tardi.
“Dov’è il mio scrigno? Dov’è!?”
“Raimondo, tranquillo, lo ritroveremo!” cercava di calmarlo Lucilla.
“Puoi starne certa!”
Mentre diceva così, guardando fuori dalla villa, vide un inserviente darsela a gambe con lo scrigno in mano fino a una delle sue costosissime macchine, per poi infilarcisi dentro in gran fretta e partire alla velocità della luce.
“Ehi! Ehiiii!!!”
Il signor Camuso, perso tutto il suo rigore, corse a una delle altre macchine e iniziò l’inseguimento. La signora spronò le guardie del corpo ad andargli dietro. Appena raggiunto l’inserviente, Raimondo tirò giù il finestrino per mettere la propria testa fuori e iniziare a urlare “Non ti azzardare ad aprire quello scrigno!”, mentre le guardie del corpo gridavano al signor Camuso stesso di fermarsi. Passarono a tutta velocità davanti a una pattuglia della polizia, la quale si aggiunse alla corsa a sirene spiegate. Il ladro prese male una curva e la macchina sbandò, finendo in un fosso pieno di fango. Tuttavia, questo non bastò a fermare il ladro, che, uscito dalla macchina, iniziò a correre sulle proprie gambe. Il signor Camuso allora scese dalla propria macchina per inseguirlo a piedi nella fanghiglia, e così fecero anche le guardie del corpo e successivamente i poliziotti. Il ladro inciampò, e cadde, dando il tempo al signor Camuso di raggiungerlo. Raimondo Camuso urla al suo inserviente di lasciare il suo scrigno, e l’inserviente per tutta risposta fa resistenza. Nel frattempo, erano arrivate anche le guardie del corpo, seguite dai poliziotti.
Dopo una lunga nottata in commissariato, durante la quale il signor Camuso aveva continuato a stringere gelosamente a sé il proprio scrigno e non aveva permesso nemmeno alle forze dell’ordine di aprirlo, l’inserviente venne licenziato, così come le guardie del corpo che non erano servite a nulla. Raimondo Camuso tornò a casa alle cinque del mattino. Dopo aver rassicurato tutti che stava bene e averli congedati, si rinchiuse nella sua biblioteca. Aveva deciso che avrebbe aperto lo scrigno. Ora che il suo raffreddore era quasi passato, cominciava a sentire un odore familiare. Aprì lo scrigno e sopra una carta intrisa d’olio, c’era un biglietto, sporco d’olio anch’esso: “Sono riuscita a scoprire il segreto di nonna! Ci manchi, a presto. Viria. P.S.: non ho trovato una scatola più grande”. Raimondo aprì lo scarto, e quando vide ciò che lo scrigno conteneva, scoppiò in una fragorosa risata: all’interno c’erano più o meno dieci supplì. Viria Camuso, sua sorella, aveva impiegato anni cercando di scoprire l’ingrediente segreto della nonna di cui portava il nome. Quei supplì erano leggendari, e Raimondo non ne mangiava da una vita. Nel momento stesso in cui se ne portò uno alla bocca, il ricordo dei giorni d’infanzia passati con la sua famiglia gli riempì gli occhi di lacrime commosse. Pensò che aveva fatto più che bene ad essere così geloso: non riusciva a immaginare uno scrigno che contenesse un tesoro più prezioso.
A mia nonna Viria.
… e ai suoi supplì leggendari.
Ilaria Alleva