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Sfogo di un’italiana esasperata dai crolli del Paese.

Ai tempi dei social tutti si sentono in dovere di dire qualcosa quando la tragedia colpisce dritta in faccia. Messaggi di solidarietà, prese di posizione, sciacallaggio mediatico e così via. Ma io credo di far parte degli intellettuali, e contrariamente agli altri, gli intellettuali hanno il dovere più che il diritto di dire la propria. Il problema è che in queste situazioni che diavolo volete che ci sia da dire? Io ho ventidue anni e sono umbra, ternana per la precisione. Sono nata e cresciuta in Italia e sapete qual è l’altra tragedia? Che da quando sono nata queste cose qui succedono. Ho solo ventidue anni e nella mia testa i ricordi di catastrofi naturali e non si accavallano di continuo, a partire dal terremoto del ’97 e da quelli seguenti (in Umbria abbiamo una certa familiarità con le scrollate di spalle della Terra). Avevo appena un anno, eppure ho dei flash di noi che ci trasferiamo a casa di mia nonna per qualche mese perché al sesto piano le scosse si sentono molto più forti che al secondo, perché da mia nonna non esiste un lampadario che oscilla come se fosse appeso nella cabina di una nave gettata nella tempesta, perché le ante delle credenze da mia nonna non si aprono facendo venir giù tutta la cristalleria. Ricordo che tenevo la mano a uno dei miei genitori e nonna che ci apre la porta. E poi ricordo il terremoto che ha falciato le vite di bambini della mia stessa età in Puglia. Dio, tutte le volte che ci penso mi viene il magone. A San Giuliano la generazione del ’96, la mia generazione, non esiste più. Ho dei vaghi ricordi della madre di una mia amica che è scoppiata a piangere sentendo la notizia al telegiornale: poteva esserci sua figlia là sotto, se il Destino avesse voluto che lei e la sua famiglia abitassero a San Giuliano. Il terremoto dell’Aquila. Quello me lo ricordo bene. Facevo le medie, erano le vacanze di Pasqua. Mi si è spostato il letto di parecchio. Il rombo della terra, l’ho sentito. I miei hanno detto “da qualche parte questo ha fatto danni grossi“, perché è così scontato ormai che cose del genere facciano danni che nemmeno ci concediamo il beneficio del dubbio. Avete fatto un giretto a L’Aquila, di recente? Potete vedere ancora la città come un grosso cantiere. Mia cugina qualche anno dopo doveva andare a fare Architettura lì, era entrata. Ha rinunciato per la paura che anche a lei potesse cadere in testa una casa dello studente. Nel 2013 la mia classe del Liceo aderì a un progetto, Cinema Giovani, insieme a una scuola di Ferrara. Quei ragazzi, poco più piccoli di noi, ci hanno raccontato dei crolli dell’anno precedente, di come se l’erano cavata loro o i loro conoscenti e di come altri non c’erano riusciti, e soprattutto di come ancora non fosse cambiato niente nei comuni colpiti. Del terremoto di Amatrice forse è superfluo parlare, ma ne parlerò ugualmente perché Amatrice è abbastanza vicina a Montasola, il paese di mia nonna dove ho passato tutte o quasi le estati della mia vita e dove ho gli amici più cari. Io e una mia amica c’eravamo passate poco tempo prima in macchina: “Vedi Amatrice? Una bella amatriciana ci starebbe proprio bene adesso“. Non riuscivo a dormire quella sera. I cani hanno abbaiato e poi sono stati in silenzio. Qui, i cani non stanno mai in silenzio. Il boato è stato fortissimo. Il terremoto è durato un’eternità. Sembrava che stesse smettendo e invece poi ha ripreso più forte. Di nuovo, “Questo ha fatto danni pesanti da qualche parte“. I video sono agghiaccianti. Tutti i paesini della mia amata Sabina sono stati evacuati. A Montasola è stato evacuato il centro storico, pur non essendoci danni. A Casperia è andata peggio. Qui a Terni i terremoti non causano crolli, quasi mai. Io non ho memoria di crolli a Terni. Si dice che sia merito della conformazione del terreno. Il terremoto qui non è una cosa che mi fa paura, di solito, mantengo la calma, me ne vado sotto il muro portante e aspetto. Ma il 30 ottobre 2016 ho avuto paura. Il pavimento si muoveva come quello di un’attrazione di Gardaland, la cristalleria per terra, i mobili spostati. Nessun danno nella mia città. Ma tutto intorno sì. Conoscete Norcia? È un simpatico borgo tipicamente umbro, una delle mete turistiche più amate, insieme a Castelluccio di Norcia di cui l’infiorata è famosa. Sapete cosa è rimasto di Castelluccio? Macerie. E fiori in estate.

Ora. Queste che ho elencato sono catastrofi naturali. Sappiamo perché succede, e sappiamo che nella maggior parte dei casi la colpa è nostra, che costruiamo dove non dovremmo, che abitiamo in case non antisismiche, che non siamo minimamente preparati ad affrontare emergenze simili nonostante siano all’ordine del giorno. Potrebbe sembrare che io sia andata fuori tema, e invece non è così, perché sapete cosa hanno in comune i crolli dei terremoti elencati e il crollo del ponte Morandi a Genova? La negligenza. La corruzione. L’illegalità. Il ponte era notoriamente insicuro. Sono stati spesi miliardi per la manutenzione di una strada che la gente attraversa tutti i giorni. Ci si chiedeva se e quando sarebbe crollato ogni volta che ci passava sopra. Non si sa perché sia crollato, non si sa di chi è la colpa. Ma sapete che c’è? C’è che è inaccettabile vivere in un posto come questo, un posto dove nel 2018 la gente muore perché qualcuno da qualche parte si è fatto una villa al mare invece di spendere i soldi dove avrebbe dovuto, o perché le opere di ingegneria vengono affidate a degli incompetenti, gente che sta lì perché è “figlia di“, “amica di” e chi più ne ha più ne metta. È un meccanismo che vedo da quando sono nata, a partire dalla scuola, e poi dappertutto. Una tradizione tipicamente italiana. Non so se questo sia il caso specifico, ma i ponti non crollano da soli senza motivo, e la verità verrà fuori, prima o poi.

Ho ventidue anni, sono umbra, sono nata e cresciuta in Italia. Ma l’Italia finora mi ha dato solo modo di preoccuparmi. Un Paese che non solo non offre più un futuro dignitoso a nessuno, ma che ogni giorno rischia di stroncartelo, il futuro, di farti morire ammazzato da un ponte che crolla, da una casa che crolla, da una montagna che crolla. Siamo tutti in caduta libera qui. E la cosa mi fa arrabbiare, mi fa arrabbiare così tanto che l’unica cosa che posso dire è “ora basta“. Questo è il mio gesto solidale per Genova, la rabbia e “ora basta“. E che appello posso fare? Appello all’onestà? Qui!? È un’utopia. E non si tratta di chi sta o non sta al governo, dell’Europa o di chissà quale altro aspetto politico. Si tratta degli italiani. E sapete che vi dico? Che io sono stanca, di questa Italia e di questi italiani, dell’ingiustizia di morti del genere, dell’arretratezza mentale e fisica di un Paese allo sbando. Ora basta.


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