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Tarli

Pubblicato il 14 Ott 2014

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NOTA: il racconto è stato scritto congiuntamente da Giovanni Tasca, Michela Della Croce e Susanna Angeli

 

Elvezia, vedova sull’ottantina e con due figlie ormai grandi, perse il marito quando aveva quarant’anni e due bimbe piccole. Era stata follemente innamorata di suo marito Zeno, grande lavoratore e uomo tuttofare. Il loro primo contatto risaliva al giugno del 1945; erano stati “compagni” di rifugio antibombardamento. Le loro famiglie si conoscevano, ma Elvezia e Zeno prima del 1943 non si erano mai visti. Iniziarono a frequentarsi e nel giro di pochi mesi si sposarono ed acquistarono una casa a Stroncone. Matrimonio, casa e dopo nove mesi geometrici nacque la prima figlia. Dieci giorni dopo il compimento del primo anno di Cristiana, in una notte di lucciole e grilli, ad Elvezia, Zeno e Cristiana si aggiunse Roberta. L’amore estatico di Elvezia e Zeno era nato tra le macerie e la paura della guerra; pochi anni dopo ad esso pose fine una diagnosi spietata. I medici dissero senza troppi giri di parole che a Zeno sarebbero rimasti pochi mesi da vivere. Zeno morì in un giorno di settembre. Elvezia smise di lavorare, smise di uscire, smise per alcuni mesi di parlare, smise quasi di alimentarsi e per un anno smise anche di fare la madre delle sue figlie. Letto e cimitero, cimitero e letto, letto e cimitero e così via per un anno anzi per tredici mesi. Quando Elvezia riprese con sé le sue figlie, si trasferì a vivere nella piccola frazione rurale di Aguzzo di Stroncone. Scelse una casa con giardino dove nulla le parlasse del passaggio di Zeno. Ogni tanto riceveva la visita di una vicina di casa, della quale per lungo tempo non comprese nemmeno il nome. La donna si era sforzata di ripeterglielo più volte, ma Elvezia sapeva solo che fosse la moglie di un emigrante che di tanto in tanto le portava le sue uova di gallina e che aveva un figlio che almeno una volta al giorno passava a bordo di una Lambretta Innocenti color grigio azzurro. La nuova casa era abbastanza grande: cucina abitabile, soggiorno, due camere, un bagno. Elvezia e le sue figlie andavano a letto presto la sera; solo rare volte, Cristiana e Roberta si intrattenevano nell’aia dei vicini con Franco. Il ragazzo consentiva alle due sorelle di salire entrambe sull’Innocenti e in tre arrivavano persino a S. Mariano dove, finita la guerra, erano ritornati persino, i confinati. E ce ne era uno Gino, che era cittadino, ma si era sposato una del paese, che aveva una Lambretta come la sua, ma color carta da zucchero e gli passava il lucido castano per la pelle della sella. Ogni tanto Elvezia da casa richiamava le sue figlie, ma poi un giorno smise perché Rosmunda le disse che con suo figlio, Cristiana e Roberta erano al sicuro. Insomma trascorso del tempo, Elvezia imparò il nome della sua vicina: Rosmunda, ma anche quello di suo figlio: Franco e persino quello straniero con cui si faceva chiamare il marito di Rosmunda: Freddy che per gli anni trascorsi dall’altra parte del mondo quando si riferiva a sua moglie, la chiamava Rose. Ma se era tanto legato agli americani perché non se ne era rimasto in America, rimuginava Elvezia.
13 giugno 2011 ore 1.00
Elvezia si desta dal suo sonno incerto. Il vecchio armadio di famiglia, regalato ad Elvezia e Zeno per il loro matrimonio, intimo custode di illusorie pretese d’amore eterno, prese a farsi sentire con scricchiolii a cui Elvezia però non diede alcuna importanza. Venti gocce di Limeril e mezzo bicchiere d’acqua risolsero il problema.
13 giugno 2011 ore 3.00
L’armadio. Di nuovo. Scricchiola, ma più forte rispetto a due ore prima. Dodici gocce di Limeril ed un intero bicchiere d’acqua. Nessun esito. Niente sonno, niente dormiveglia, nessuna sonnolenza. E poi contorsioni, tremori, scricchiolii, vibrazioni. Altre dodici gocce di Limeril e le vibrazioni incessanti del legno fattesi strada nelle connessioni sinaptiche di Elvezia, vennero spazzate via dalla sedazione profonda delle benzodiazepine.
13 giugno 2011 ore 8.30
Franco, ormai 58 anni, professione falegname, residente nel comune di Stroncone, in via S. Bolivar n° 32, risponde alla richiesta di pronto intervento della Sig. ra Elvezia Marchesi in Ciotti, 81 anni, pensionata, vedova, residente in località Aguzzo di Stroncone, in via dei Pioppi n°36. Franco, quasi calvo da tredici anni, separato e divorziato, ma senza figli è proprietario di un appartamento di novantatre metri quadrati ed è caratterizzato da una passione lacerante nei confronti della pornografia. Adora quella di infima qualità proveniente dal mercato delle Repubbliche baltiche; i cineasti emergenti lituani e lettoni, poco più che ventenni, si mantengono gli studi nelle accademie di cinematografia tedesche e finlandesi grazie al fiorente mercato pornografico richiesto nell’Europa del Sud. Franco si chiede per quale motivo di sabato mattina dovrebbe rispondere alla chiamata telefonica di un’anziana donna a sette chilometri da casa sua quando in alternativa potrebbe infischiarsene altamente?
Elvezia Marchesi. Ma che razza di nome! “Elvezia”. Ricordava di averlo sempre pensato. Che strano destino il suo. Lui, Franco, un nome normale perseguitato da sempre dall’inesorabile destino di essere circondato da donne e uomini con nomi improponibili. Sua madre Rosmunda, nelle intenzioni dei nonni materni avrebbe dovuto omaggiare la figura della regina longobarda costretta ad un singolare aperitivo su altrettanto singolare calice. Suo padre Alfredo, per via degli anni trascorsi a Baltimora, era conosciuto sul suolo comunale come Freddy e aveva preteso persino degna sepoltura con speciale lapide in cui fosse comparso solo il suo nome d’arte: “Freddy” ed una parentesi: (PARTIGIANO). Nessun nome, nessun cognome, nessuna data di nascita ne’ di morte, ma solo un nome acquisito molti anni prima aldilà dell’Atlantico ed una proclamazione identitaria, una rivendicazione di memoria, un’ultima resistenza. Per non parlare poi dei misteriosi nomi della genealogia zurighese di Audinghe che per diciotto interminabili anni era stata sua moglie. In sintesi Elvezia, antico toponimo della Svizzera, il tuo armadio scricchiola nella camera da letto della vecchia casa di campagna sita in Aguzzo di Stroncone. Tu, allora, mi chiami in un sabato mattina dai fulgenti colori settembrini perché alcuni tarli stanno finendo di corrodere questo residuo bellico che tieni in camera da letto e che hai ancora il coraggio di chiamare armadio quando io lo chiamerei semplicemente “immondizia” anzi “monnezza”. Bene Elvezia, cazzo di nome, che richiami colpevolmente alla mia memoria, la donna elvetica che ebbe il coraggio di sposarmi, la pagherai… e la pagherai cara. Minimo duecentocinquanta euro per il costo di manodopera e magari ne aggiungiamo una settantina per via del trasporto a mio carico, causa l’impossibilità di effettuare in loco l’intervento. Ma quale occhio di riguardo per via degli antichi legami di amicizia? Ma se non volevi nemmeno che le tue figlie restassero a scambiare parole innocenti con me e con mia madre nell’aia di casa nostra, per non parlare poi delle tue reazioni di funesta collera quando scopristi che di nascosto ce ne andavamo a S. Mariano dove mio padre e i fratelli Gironi, ad anni di distanza, si erano finalmente decisi a raccontare di come di notte in montagna progettavano di strigare i tedeschi. Veni, vidi, vici. Libera questo immondezzaio di armadio ed io in capo a due giorni te lo restituisco libero dagli insetti xilofagi che voi ignoranti contadini mai redenti continuate a chiamare volgarmente tarli. Cristiana e Roberta mi avevano informato che le tue condizioni di salute mentale fossero precarie, cara Elvezia, e del resto non hai mai brillato in equilibrio psichico, ma da qui a scambiare una colonia di innocui xilofagi per un famiglia di fantasmi in vacanza ad Aguzzo di Stroncone, ce ne vuole. Se proprio devono infilarsi nell’armadio di qualcuno, suggerisco a questi fantomatici fantasmi di scegliere ad esempio quello di una camera da letto di Vilnius o di Riga mentre stanno girando uno dei lungometraggi sugli amplessi acrobatici baltici, ma non a casa di una vecchia rimbambita in preda a deliri notturni.
Quindi cara Elvezia, lo sai che ti dico? Io da te non ci vengo proprio, in ricordo della mia infanzia passata a sfuggire dalle tue lamentele e preoccupazioni quando uscivo con le tue figlie, belle “sante” pure loro. Non vengo a sentire i tuoi ennesimi sproloqui, a ricordare tuo marito Zeno, di cui solo tu hai memoria, e a sentire i tuoi vaneggiamenti sulla guerra senza che tu avessi mai veramente conosciuto la paura, quella vera, quella di mia madre che con il fiato sospeso attendeva la discesa di Freddy dalla montagna.
23 giugno 2011 ore 1.00
Sono dieci giorni, dieci che aspetto quell’incompetente di Franco per risolvere questi scricchiolii continui nel mio armadio. Ma è possibile che quel ragazzo non abbia ancora messo la testa a posto e continui ad essere un eterno bambino? Passare giornate intere a guardare quelle porcherie in lingua straniera, anche se sono poche le parole che vengono dette. Zeno dimmi tu se i giovani d’oggi non hanno i grilli per la testa e questo poi di grilli ne ha tanti sai. Tutta una vita buttata dietro donne impossibili ed improponibili, ma come si fa?
23 giugno 2011 ore 3.00
Prima o poi quest’armadio mi cadrà sulla testa mentre dormo per colpa di quell’incompetente di Franco che non lo ha ripulito dagli insetti xilofagi che lo stanno divorando. Ormai il Limeril non mi fa più effetto. Caro Zeno se ci avessi pensato tu non avrei avuto questi problemi, avresti liberato l’armadio e gli avresti fatto il trattamento necessario invece questo qui non ha voglia di fare un bel niente. Così sono notti che non riesco a dormire per il rumore e per la paura che prima o poi l’armadio si sfaldi a mi cada addosso. Quell’idiota non penserà mica che io creda ai fantasmi? O Gesù, Giuseppe e Maria! Sì, sì caro Zeno te lo dico io, quell’idiota di Franco è convinto che io creda ai fantasmi ed è per questo che non è ancora venuto. Ma come si fa ad essere così privi di rispetto nei confronti di una donna anziana? Si vede proprio che le generazioni sono cambiate, ai tempi nostri nessuno si sarebbe mai permesso di contraddire e mancare di educazione verso una persona matura e per di più vedova da una vita!
23 maggio ore 8.30
Zeno basta, non ce la faccio più, ho bisogno di dormire e sono dieci giorni dieci che non ci riesco. Ricordami dove hai messo gli strumenti necessari per la disinfestazione altrimenti esco pazza. Mi rimbocco le maniche, come sempre e, come sempre, da sola risolvo la situazione.
Elvezia si alza rapidamente, si gira verso il lato del letto di Zeno che prontamente le indica l’ultimo cassetto del vecchio comò in fondo alla stanza. Con fare deciso apre il cassetto e ne estrae tutto il necessario. Si avvicina all’armadio, che già aveva svuotato a suo tempo dopo aver telefonato a Franco, e comincia la disinfestazione di “Quelli che quell’incompetente di Franco chiamerebbe tarli, ma lui i tarli ce l’ha nella testa, anzi ne ha solo uno: pornografia baltica!” A quel punto Zeno si alza dal letto per aiutarla come fa da tutta una vita.