Pioggia. Mi viene naturale chiudere gli occhi, anche se non serve.
Pioggia, pioggia, pioggia, miliardi di gocce d’acqua che rispettano solo una legge, senza badare a nessuno. La legge di gravità. Le gocce cadono, colpiscono, cadono, bagnano, cadono, risuonano. Come dita di un bambino che spingono a caso i tasti di un pianoforte, anche se, per quanto il bambino possa essere fortunato, non produrrà mai un suono simile, un suono così in armonia con la legge di gravità. Mi piace questa legge, perché è l’unica che posso veramente sentire.
Immagino la pioggia. E immagino la luce.
Dicono che anche la sua velocità è una legge, ma questa legge io non la posso sentire. Dicono che la luce sia materia e onda allo stesso tempo. Ma io non la posso vedere, se non nei miei sogni, e anche in questo caso, a mio modo. Non posso guardarmi allo specchio, non posso osservare la topografia di un paese, non posso ridere – o essere spaventato – per le gesta di un clown. È difficile avere coscienza di queste e di altre infinite cose, senza poterle vedere. Per questo immagino la luce.
Immagino un fotone che inizia il suo viaggio dal sole insieme a miliardi di compagni. Immagino la sua traiettoria verso l’atmosfera terrestre, danzando sulla propria onda di luce e producendo il proprio colore, a seconda della velocità del ballo. I suoi compagni si muovono a ritmo con lui, come le gocce della pioggia che ora sento. Ah, se potessi sentire, udire, ascoltare la luce! Non sarebbe quella una meravigliosa musica?
E quando quel fotone mi raggiunge?
Deve passare tra una goccia e l’altra per arrivare da me. È mai possibile? No, ma è questo il bello. Quando la luce incontra la pioggia, danza insieme a lei. Non so come la gente veda veramente la luce, ma io ho il vantaggio di potermela solo immaginare e la immagino a ritmo con la pioggia.
Le gocce cadono, risuonano; i fotoni ballano.
Quando entrano dentro le gocce, immagino i fotoni che si muovono ognuno su un’onda diversa, ognuno balla il proprio ballo, senza preoccuparsi se siano in armonia con gli altri o con la pioggia. Questo da forse vita a una crisi coreografica? Questo fa del mio fotone un essere fallocentrico, che pensa solo al proprio ballo e se ne frega della musica della pioggia?
Niente affatto.
Come la gravità, anche questa musica è una legge, e i fotoni si comportano di conseguenza. Ognuno va per la proprio strada, danza sulla propria lunghezza d’onda, okay, ma vuoi mettere lo spettacolo che ne viene fuori? Ne esce tutta la gamma dei balli, tutti a ritmo della pioggia, tutta la gamma dei colori. Ogni fotone è libero di muoversi dove e a che velocità vuole e il risultato è l’arcobaleno.
Ah, e come lo immagino, l’arcobaleno!