Accettabile – Alex Coman
La videocamera è accesa, aspetta solo me e il mio spettacolo. Mi avevano detto di riprendere solo sorrisi e risate, baci e abbracci e altre smancerie false. “E non ti scordare della verità.” mi avevano detto. “La verità è importante, per questo la devi rendere accettabile.”
Accettabile.
Avrei voluto confutare i miei datori di lavoro, avrei voluto menzionare almeno una dozzina di filosofi e poeti, che nemmeno ricordo, per contrastare quello che avevano affermato, ma mi ero limitato a un’alzata di spalle. “Ricorda, è una cena di beneficenza, quindi sorrisi e risate, baci e abbracci.”
Be’, io l’ho fatto. Ho raccolto mezze lune rovesciate sui volti dei politici, che, guarda caso, stringevano la mano ai miei datori di lavoro. Ho registrato mogli che abbracciano altre mogli e che parlano con entusiasmo di come i propri mariti hanno approvato una legge, o di come hanno aperto una fabbrica in un luogo sperduto, o di come hanno chiuso un affare molto importante. Tutto molto bello, molto interessante, avrebbero detto i miei datori di lavoro. Ho persino colto una persona con il vestito che costa più del mio stipendio che, con il bicchiere alzato alla fine del suo discorso, esclamava a gran voce: “Una festa coi fiocchi.” E poi applausi, lunghi e assordanti, centinaia di mani che si battevano l’un l’altra per confermare quella frase. Durante tutto questo, sorrisi su tutti i volti incipriati. Tutto molto bello, molto interessante.
Manca qualcosa, prima di far vedere agli ospiti della cena le riprese della serata. Ora è il momento della verità.
La festa è alle mie spalle. Davanti ho un’uscita di emergenza che apro, senza far scattare nessun allarme. La videocamera riprende l’esterno del prestigioso ristorante. Tutto molto pulito, naturalmente, ma basta attraversare la strada per trovare quello che i miei datori di lavoro chiamerebbero imperfezione. Sull’attico di una chiesa, un cartone fa da lenzuola a un uomo vestito con un giubbotto che un tempo doveva essere verde. Piccoli grumi di nylon fuoriescono dallo strato superficiale, come se quei tagli nel giubbotto fossero ferite. Il cappuccio gli copre la testa, la barba gli copre il viso. L’uomo mostra solo parte delle guance e gli occhi, neri e vuoti, direi rassegnati.
Sono ormai abbastanza vicino da poterlo riprendere. Cerco di attirare la sua attenzione con un “Ehi, vecchio mio!”, anche se lui mi stava già osservando da quando sono uscito dal ristorante. Gli allungo il piatto di gamberetti fritti che ho preso dal buffet della festa. “Spero che tu abbia fame.” gli dico.
Lui lo prende e io sistemo la videocamera. Mi ringrazia.
Ed eccolo lì, pronto a essere raccolto dall’obbiettivo, il miglio sorriso di quella serata di beneficenza. Un sorriso coi fiochi, avrebbe forse detto l’uomo del discorso. Un sorriso interessante, avrebbero forse detto i miei datori di lavoro. Un sorriso accettabile, dico io. Una verità accettabile perché io l’accetto.