A mio figlio, William,
anche se ancora non sa cosa
siano la Luna e la regolite.
Mio figlio una volta mi chiese una fotografia.
Non mi disse addio prima che partissi, ma mi pregò solamente di portargli una foto e quando, all’epoca, atterrai finendo la missione, ne tirai fuori una dalla tuta. Lui non si ricordò nemmeno di aver espresso quel desiderio – sembrava solo felice di vedere il suo papà appena tornato dalla Luna – ma quando la vide, allargò ancora di più quel sorrisetto sdentato. Gli occhi gli brillavano per l’emozione che solo un bimbo sa provare e condividere con il proprio padre:
«Quindi è questo il suo colore!»
Era contento di osservare per la prima volta quel pezzo del satellite terreste, stampato su un foglio liscio e spesso, credendo di avere davanti la sua vera tinta. Ora William è grandicello… non grande, non adolescente, ma grandicello… e sa che il colore della Luna è quasi un mistero. Intendo il suo vero colore.
La superficie del nostro satellite è stata osservata solo attraverso strumenti digitali, enormi telescopi, lo strato di ozono o, nel caso di uomini come me, attraverso la finestra della navicella o la visiera del casco della tuta pressurizzata. Nessuno ha mai visto la Luna a occhio nudo. Nessuno. Chi può dire quindi qual sia il suo vero colore?
Ora, mentre l’ossigeno sta per finire, sdraiato su un fianco, viaggio con lo sguardo sull’area circostante, per riconciliare e ordinare le idee, per rendermi lentamente conto di quello che è appena successo, per capire. Alcuni resti della navicella giacciono intorno a me immobili e inutili e nella mente iniziano a scorrere ricordi di un’esplosione quasi muta… muta, silenziosa per la mancanza di atmosfera, che rende l’episodio di prima ancora più tragico: era sembrato che l’intero cosmo avesse smesso di parlare, mentre il mezzo spaziale era andato in mille pezzi sopra la mia testa.
A William sarebbe piaciuto assistere a un fenomeno del genere… Un’esplosione muta.
Dopo il flusso di immagini passate di qualche secondo fa, riesco a far penetrare un po’ di lucidità tra i miei pensieri: provo la radio della tuta spaziale, chiamando prima il comando – nessuna risposta – poi i compagni di viaggio – nessuna risposta – e infine anche quel traditore che ha dato inizio a questa tragedia. Nessuna risposta. Né dalla radio, né alle domande che stanno per arrivarmi:
Perché? Qual è il vero obiettivo di questa missione, ormai fallita? Qualcuno si voleva prendere il merito della nuova scoperta che abbiamo fatto nelle ultime settimane, uccidendoci tutti? E, soprattutto, chi altro è ancora in vita oltre a me, qui sulla Luna?
So di essere stato scaraventato fuori dalla navicella per un colpo del traditore proprio mentre stavo per uscire a saltellare sulla superficie lunare. Per fortuna avevo già finito tutto il processo di preparazione e attivato la tuta pressurizzata, grazie alla quale ero fuori pericolo. Ho poi sentito dei rumori grazie alla radio, dialoghi all’interno della navicella, ordini, urla di rabbia, urla di terrore, urla di sfida… Rumori di combattimento, di lotta e di disperazione, di strumenti e oggetti lanciati contro altri oggetti… Poi la navicella si è sollevata e i rumori hanno continuato a invadere il mio casco, facendomi confondere e ripetere solo un’unica e banale frase. Una domanda: Che succede? Che cosa sta succedendo? Cosa diavolo succede là dentro?
Poi uno sparo.
Riecheggiò all’interno della mia visiera come se il suono volesse colpirmi in faccia. Un altro sparo ancora. Poi… la radio mi ha trasmesso qualcosa di indefinito e il segnale si è interrotto di colpo… silenzio… l’esplosione, solo visibile, sopra e vicino a me.
E ora sono qui, sulla regolite.
A William sarebbe piaciuta… La regolite.
Cerco di riflettere. Ci rinuncio presto, date le evidenze. Non posso sapere quale complotto stava per realizzarsi o cos’è successo nell’astronave, ma, vedendone i resti, mi rassegno alla morte del traditore e di tutto l’equipaggio. Nessuno può essere sopravvissuto e mi rendo conto che, senza la navicella, senza neanche un modulo di salvataggio, nemmeno io ho molte speranze – anzi, praticamente non ne ho alcuna – di mettere ancora piede sulla Terra, magari anche solo per sentire il mio peso originale, sentire il mio pianeta che mi tiene a sé.
Invece sono un sesto più leggero. È così che morirò, leggero, e non c’è nessuno che lo possa impedire. Nessun anima vivente, essere umano o animale.
Forse sono questi i momenti in cui speri fortemente nell’esistenza della vita su altri pianeti, magari proprio su questo masso pieno di crateri che gira intorno alla Terra. Nessun alieno però si sarebbe materializzato di fronte a me, per aiutarmi.
Sono da solo, sulla Luna.
A William sarebbe piaciuta… La Luna.
I pensieri iniziano un viaggio di oltre trecentottantamila chilometri verso casa, distanza che viene compiuta in meno di una frazione di secondo, portandomi sul divano davanti alla televisione, mentre io e William guardiamo un film. Mi portano alle partite di calcio di mio figlio sudato ma felice su quel campo. Ai pochi compiti di scuola che avevamo fatto insieme. Alla sua cameretta piena di pianeti appesi al soffitto dipinto di stelle e nebulose. Ai poster sulle pareti… alle fotografie.
Un suono d’allarme interrompe il mio film: l’ossigeno è completamente finito.
Ma continuo con la fantasia: le fotografie sulle pareti… Sorrido a questo ricordo.
La respirazione diventa ad un tratto più difficile.
So che la foto della superficie lunare che gli avevo regalato è appesa da qualche parte nella sua camera.
Trattengo il respiro, nonostante non ci sia più niente da respirare.
Un altro grande mistero nel mio campo è l’effetto dell’esposizione del corpo allo spazio. Non essendoci stato alcun esperimento, nessuno sa di preciso cosa succede se un astronauta si toglie la tuta pressurizzata. Ci sono molte teorie, come il soffocamento per mancanza di ossigeno, la perdita di conoscenza, il congelamento lento o immediato e, quella che fa più effetto e anche la più famosa, l’esplosione del corpo per la mancanza di pressione, essendo l’atmosfera della Luna pressoché pari al nulla.
Beh, immagino che stia per scoprire anche questo.
Con le ultime forze rimaste mi tolgo il casco, incurante dei possibili rischi. Tengo gli occhi ben spalancati e, ancora con il sorriso sulle labbra, osservo attentamente la superficie lunare.
Ecco a te il colore della Luna, William.