In evidenza, Narrativa

Il regista, il ragazzo, il dentista, il taxista, la ragazza, la star.

Pubblicato il 28 Settembre

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“Abbiamo finito Ukul?”

“Beh, Miolord, ci sarebbe il consigliere Alef che vorrebbe parlare di quel pianeta da resettare…”
“Di nuovo?!”

“Sì Miolord, lo mando via?”

“Mah no… uff che noia, fallo entrare… altrimenti, già me lo immagino, si metterà a piangere in diretta su tutti i canali intergalattici lamentando che non gli dedico abbastanza tempo… quel noioso…”

“Eccomi Miolord, sono il noioso consigliere Alef!”

La razza Protodivina dei Miolord che con il suo supremo leader gestiva l’Universo Conosciuto aveva sviluppato una discreta pazienza e tolleranza nel corso degli ultimi petasecondi, di questo Ukul ringraziò mentalmente il Grande Attrattore visto che non si era ritrovato incenerito all’istante.
“Ukul?”
“Sì Miolord?”
“D’ora in poi, tra quando dico ‘fallo entrare’ e l’aprire la porta della sala dalle udienze, farai passare una trentina di secondi… e comunque, in ogni caso, aspetterai sempre che io finisca i miei monologhi riflessivi, va bene?”

“Senz’altro Miolord!”
Il gestore dell’Universo si alzò in un leggiadro volteggio a-gravitazionale e si piazzò di fronte al consigliere Alef inchinando il suo capo per rispetto. Alef, che inchinò a sua volta il capo, era un importante funzionario dell’Archivio per la Conservazione della Specie Utili; la potente lobby intergalattica dei burocrati aveva in mano quel colossale ente praticamente da sempre. Era prassi consigliata e consolidata per un Amministratore Universale averli come fedeli collaboratori.
“Carissimo Alef, lo sai che definire qualcuno ‘noioso’ per me significa che sto facendo un complimento; del resto apprezzo sempre approfondire le questioni… ma non ne abbiamo parlato almeno cinque volte del piccolo pianeta XR457 del settore K della piccola galassia BEF890?”

“Sì Miolord, eppure…”

“La demenziale specie predominante del pianeta non sta forse consumando rapidamente tutte le risorse e va eradicata prima di perdere uno dei, non certo comuni, pianeti che possono incubare la vita? Ti ricordo che in questo ultimo ciclo energetico del Grande Attrattore ne abbiamo persi già due di pianeti incubatori.”

“Sì Miolord, tuttavia ritengo che questa specie possa avere ancora delle speranze!”

“Alef lo sai…quella specie, usando i loro stessi parametri temporali, ha più di duecentomila anni di storia alle spalle! La maggior parte delle specie dominatrici di un pianeta nella metà di questo tempo arrivano a sviluppare quantomeno la fusione fredda!”

“Indubbiamente… però Miolord, le garantisco… loro hanno qualcosa che…”
“Definisci ‘qualcosa’!”

“No Miolord… è proprio questo il punto, non si può definire quel qualcosa”

“Spiegati Alef, e rapidamente… la mia pazienza ha un limite!”

“Non posso spiegare Miolord… devo sottoporre alla sua valutazione delle storie!”

“Storie? In che senso?”
“Storie umane Miolord, la specie in questione si autodefinisce “umana”. Ecco, le sto passando dalla mia rete neuro-mnemonica il file ‘RegistaStar’… lo accetti e lo esamini, la prego Miolord.”
“Alef se mi fai perdere tempo…”
“Lo esamini e poi mi dirà!”

“Mmmm…  ma chi è quest’umano seduto al bar che sembra un morto con in mano un bicchiere?”
“Lo esamini, Miolord!”

 

**

 

Peter Schoel aspettava seduto al tavolo del Pink Rodeo e rimuginava: solo Anastasia De Busy poteva salvarlo e non conosceva in tutta Hollywood una sola persona che fosse più stronza di lei.

Da quella donna aveva subito di tutto: tradimenti, umiliazioni, derisioni… ma per quanto la odiasse doveva ammetterlo: solo la sua ex moglie poteva risollevare le sorti del suo nuovo film.

Da quando cinque anni prima lo aveva lasciato, portandogli via metà dei suoi soldi, lei era diventata una delle star più acclamate di Hollywood, lui invece era andato a picco con due flop terribili al botteghino da cui rischiava di non riprendersi più.

Ora l’infortunio di Patti De Lorean sul set, appena iniziate le riprese, aveva anche aggiunto alla sua catastrofica situazione finanziaria la nomina che fosse diventato anche uno jettatore.. e questo avrebbe significato la sua fine artistica in breve tempo.

Ma, se Anastasia avesse accettato la parte, tutto si sarebbe sistemato. Ad Hollywood tutti andavano  pazzi per i ritorni di fiamma. Già pensava ai titoli dei tabloid: “Peter ed Anastasia: torna l’amore!”.

Ma si carissimo, sto per l’appunto andando all’appuntamento con quella piaga di Peter Schoel… il mio ex marito… ma sì quel regista fallito lo sai… ma chi se ne frega se i suoi precedenti film sono un cult, dai! Devo solo mettere la firma su questo contratto… ma no che dici stupidino… è tutta una finzione! Prima prendo i soldi del suo contratto, sfrutto la pubblicità che ne esce fuori con questo mio ritorno di fiamma, che lo sai quanto ci vanno matti i tabloid per i ritorni di fiamma in America, no? Poi tra un paio di mesi lascerò il set per una fuga ad Acapulco con Jason Derr o magari Antony Luis … e boom altra botta pubblicitaria.  È Hollywood baby. Ma sì certo che lui sarà rovinato, ma chi se ne frega? Se mi ha richiamato vuol dire che ancora non ha capito con chi ha a che fare… sono o non sono Anastasia De Busy, la diva più cattiva di Hollywood? Piuttosto, la mia agenzia stampa ti girerà tra poco le foto della firma… e del bacio, si gli darò anche un bacio a quel ciccione schifoso… mi raccomando sparala in prima! Voglio proprio che ci creda che sia tutto vero!

Ancora seduto al tavolo del Pink Rodeo il regista guardò la bottiglia di Jack Daniel’s davanti a lui e il seltzer portatile. Decise di preparasi il quinto abbondante whiskey and soda del pomeriggio.

Per il suo umore non era stato di aiuto neanche la richiesta di un autografo da parte di uno dei nuovi camerieri che, emozionato come un adolescente, lo aveva riconosciuto.

Sorseggiò il cocktail che si era preparato; non poteva credere di essere giunto così in basso da dover implorare Anastasia di tornare a girare un film con lui. Dopo tutte quelle umiliazioni subite… le foto dello chaffeur che se la scopava nel parcheggio apparsa sulla prima pagina di tutti i tabloid d’America… oppure la fuga d’amore con L’Indio, il wrestler più famoso del mondo, con tanto di diretta sulla CNN mentre fuggiva dalla festa del loro anniversario.

Decise di non sorseggiarlo il quinto whiskey; lo scaraventò in gola in un sol sorso.

“Già tre quarti d’ora di ritardo” pensò prendendo nuovamente in mano la bottiglia del JD.

E poi quel maledetto party in una villa di amici a Mulholland Drive, dove Anastasia comunicò a tutti la sua necessità di prendere il viagra per far sesso, “Avete capito? Non gli si drizza più, e poi si lamenta che mi scopo i wrestler!” aveva urlato sghignazzando ai presenti.

Ma in quel momento andava bene tutto, anche tornare alle umiliazioni! Altrimenti le banche gli avrebbero portato via ogni cosa: la villa, le auto, i diritti dei suoi film…  avrebbe perso tutti i suoi privilegi hollywoodiani. Ma tutti gli spin doctors erano d’accordo, un ritorno della sua ex musa alla sua corte sarebbe stato un rilancio fenomenale.

Sospirò, e poi mormorò a bassa voce: “Andrà tutto bene… andrà tutto bene… andrà tutto bene!” Poi, dopo un sospiro ancora più profondo: “Basta che non mi chiami Ciccio! No, davvero se mi chiama di nuovo Ciccio io…” e mentre digrignava i denti si rese conto che stava versando il JD sul tavolo perché il bicchiere era pieno fino all’orlo.

La porta si spalancò, lei entrò con vari bodyguard e altri ruffiani al seguito. Camminò come se stesse sfilando, il suo fotografo personale stava già scattando a raffica. Si piazzò davanti a lui con il suo abito di Versace che sembrava dire: “Strappami coglione, non vedi che sto appeso per scommessa?”, lo squadrò dall’alto al basso e poi con il suo inconfondibile tono strafottente disse: “Ciccio, vediamo di far presto! Ce l’hai i centomila di acconto e il contratto da firmare?”

Per l’acconto avevano stabilito il giorno prima una cifra di cinquantamila dollari che Peter aveva in un plico nella tasca interna della sua giacca insieme al contratto. Di certo lei se lo ricordava benissimo ma, evidentemente, voleva metterlo in difficoltà fin da subito. Si rese conto che quella sarebbe stata solo la prima di tantissime umiliazioni che avrebbe dovuto subire per portare a termine il film.

Prese dalla giacca i fogli del contratto e glie li mostrò; lei cercò di prenderli, ma subito dopo Peter li ritrasse.
Lei lo guardò dubbiosa: “Ciccio ti sei rincoglionito?”
Lui prese l’accendino dalla tasca e diede fuoco a quel contratto, sventolandoglielo in fiamme davanti al viso e poi lasciandolo sul tavolo a finire la sua combustione.

“Ciccio, ma sei fuori di…” prima che lei completasse la frase le arrivò in faccia prima il whiskey e subito dopo il getto di soda water dal seltzer che Peter manovrava con sapienza, ridendo di gusto mentre le distruggeva il suo make up da duemila dollari.

A getto esaurito Peter si voltò e uscì dalla porta posteriore del locale, mentre lei urlava minacce con il volto deformato dalla rabbia e impiastricciato per il trucco colante dopo l’imprevista doccia di whiskey and soda. Uno scatto fatto da uno dei tanti paparazzi che, ad Hollywood, aspettano le loro prede seminascosti nella penombra dei tavoli meno in vista, la immortalò in un espressione che avrebbe terrorizzato anche Hannibal Lecter.

Dopo venti minuti, la foto e la storia di come Peter l’aveva trattata stavano già facendo il giro del mondo.
Dopo la prima ora le agenzie di pubblicità cominciarono ad annullare i contratti con Anastasia De Busy.

Peter camminò per una decina di isolati, sentendosi bene come da tempo non gli accadeva nonostante i vari whiskey in corpo. Con una telefonata al suo commercialista gli fece spostare una discreta quantità di soldi in conti esteri che, comunque si mettessero le cose, gli avrebbero garantito una vita da pensionato abbastanza tranquilla.

“Non saranno Hollywood e una troietta ad uccidere Peter Schoeles!” dichiarò ad alta voce, poi si trovò a fischiettare Raindrops keep falling on my head aspettando che passasse il primo taxi.

 

**

 

Miolord gurdò Alef nel silenzio della Sala delle Udienze. Udienze che, come tradizione voleva, quando venivano concesse erano trasmesse in diretta su tutti canali dell’universo. Il numero delle  connessioni stava aumentando esponenzialmente.

Miolord allargò le braccia e disse: “Alef… è una  storia interessante ma io non…”
“Aspettate Miolord, la storia deve essere completa!”

“Completa?”

“Sì sono cinque parti, si metta comodo…”
“Cinque parti? Alef, io ho un numero di impegni che occupa quasi tutta la memoria aggiuntiva del mio assistente Ukul e…”
“Si fidi Miolord, ne vale la pena… file denominato ‘ragazzodelbar’ in arrivo!”

 

**

Timothy guardava e riguardava la firma e la dedica che Peter Schoel aveva lasciato sulla sua agendina personale.

“A Timothy, che presto mi vedrà ubriaco”.

Era stato assunto al Pink Rodeo solo da un paio di settimane, il Capo (pochi conoscevano il suo vero nome, Paco Tabarez) diceva che l’aveva scelto per la sua capacità di preparare ottimi Margarita, ma la realtà era ben diversa visto che gli toccavano sempre i lavori più umili, come sgorgare i cessi intasati o passare lo straccio ogni sera. Fare la gavetta come ultimo arrivato ci stava tutta, ma al Pink Rodeo stavano decisamente oltrepassando i limiti.

Non aveva visto Peter Schoel ubriaco bensì maltrattare Anastasia De Busy; e mentre osservava l’autografo sulla sua agendina i social come instagram andavano affollandosi di meme con il volto terrificante di lei. Sorrideva, mentre fumava una sigaretta appoggiato ad una pila di casse di birra nel retro del locale, pensando che quell’autografo gli era stato concesso in un’occasione che sarebbe passata alla storia. In quel momento la limousine di Paco Tabarez arrivò e le imprecazioni in spagnolo richiamarono la sua attenzione.

Capì che quelle imprecazioni erano rivolte verso di lui solo quando sentì le parole: “Puzzolente merda yanquee, per cosa credi che ti paghi? Per fumare le tue dannate sigarette?”

Probabilmente era arrabbiato perché si era perso la scena fra il regista e la star pensò Timothy, o forse pensava che quella storia potesse avere un brutto feedback sul locale. Ma decise che non c’era una sola ragione al mondo perché qualcuno avesse il diritto di trattarlo così.

Si tolse la giacca con il simbolo del Pink Rodeo, la lasciò sopra le casse di birra e se ne andò voltando le spalle a tutti e senza dire una parola: fra le imprecazioni contro la vergine di Guadalupe del capo e con un paio di centoni in tasca frutto di un paio di mance particolarmente generose nella giornata.

Prese un autobus che attraversò la West Hollywood, quindi Beverly Hills e poi la Mid City.

Arrivò sulla spiaggia di Santa Monica giusto in tempo per gustarsi il tramonto e pensò che tutto sommato era troppo giovane per sprecare il suo tempo in intere giornate senza surf.

Il giorno dopo lesse la notizia che il Pink Rodeo era saltato in aria proprio mentre lui quella sera si godeva il tramonto. C’erano stati diversi morti fra cui il sospettato narcotrafficante Paco Tabarez detto Il capo.
Ma la cosa lo lasciò abbastanza indifferente.

 

**

 

Le dita del Miolord tamburellavano sul bracciolo della poltrona, i suoi occhi si girarono verso Alef. Da tempo la razza protodivina dei Miolord aveva imparato a non far trasparire emozioni, quindi l’accenno all’impazienza che Alef percepì doveva essere stato fatto  in modo intenzionale.

“Alef, mi stai proponendo una di quelle serie di storie incatenate?”
“Mio lord, sono storie di contingenza allo stato puro… ecco la contingenza… questa specie ne ha da vendere!”

“Contingenza eh? Capisco che è una risorsa essenziale dell’Universo tuttavia…”
“Aspetti ad emettere un giudizio finale, il bello deve arrivare: file numero tre :’Tassista’, in arrivo”.

 

**

“Sono John Doubledee e non ho mai avuto un colpo di fortuna in vita mia”
“Sono John Doubledee e non ho mai avuto un colpo di fortuna in vita mia”
“Sono John Doubledee e non ho mai avuto un colpo di fortuna in vita mia”

Il mantra che lo tormentava nella sua mente stava assumendo l’aspetto di una psicosi ossessiva-compulsiva. Ma Johh Doubledee non poteva farci niente.

Da quando era nato, o almeno che lui si ricordasse, non aveva mai avuto un colpo di fortuna in vita sua.

Mai.

Non aveva mai vinto alle lotterie, non era mai stato estratto a sorte per un concorso televisivo, non aveva mai vinto nulla neanche alla riffa della scuola. Non aveva mai neanche vinto a pari e dispari con gli amici per quel che poteva ricordare.

Nei due giorni precedenti aveva esaminato tutta la sua vita, qualche colpo di sfortuna l’aveva avuto, ma colpi di fortuna mai.

Non se ne faceva una ragione, chiunque conoscesse aveva vinto qualcosa almeno una volta nella vita… una puntata su un cavallo vincente… una giocata al lotto con i numeri del proprio taxi di servizio o a qualche riffa clandestina. Lui nulla.

Quando aveva provato a giocare a poker aveva perso un centinaio di dollari. Quando aveva provato a puntare su un cavallo all’ippodromo questo si era rotto una gamba alla partenza. L’unica volta che il suo nome era stato estratto a sorte era stato quando il padrone della  compagnia dei taxi doveva decidere chi dovesse restare in servizio per il giorno di Natale.

La sfortuna lo tormentava fin dalla sua nascita, i suoi erano una coppia mista giusto? Ma lui com’era nato? Nero, che sfiga. Che hai voglia a dire che sono tutti uguali… i bianchi sono più uguali degli altri. Punto.

E quando era diventato adolescente poteva scoprire di avere un orientamento eterosessuale? No, si era scoperto omosessuale! Che sfiga. Nero ed omosessuale. E ricco neanche a parlarne. Sì siamo tutti uguali, ma i bianchi etero e ricchi sono molto più uguali degli altri, altro che chiacchiere.

Un’altra sfortuna che si portava dietro fin dalla nascita era quello spazio, che lui vedeva enorme, fra i suoi due incisivi superiori, troppo distanziati l’uno dall’altro. Quanto lo odiava. E quanto odiava il fatto che a trent’anni suonati non era ancora riuscito a mettere da parte abbastanza denaro per farseli sistemare da un dentista bravo. Se non fosse stato per quello spazio orribile fra i suoi denti avrebbe potuto provare a sfondare nel cinema e invece… che jella.

Preso dalle valutazioni sulla propria sfortuna cosmica ed eterna, quasi non si accorse dell’uomo che chiamava il suo taxi mentre percorreva la Waring Ave. Riuscì a frenare giusto in tempo per non perdere la corsa.

“Stradella Road, per favore.” disse il tizio appena salito nel taxi.

“Va bene signore, subito” rispose John facendo partire il tassametro, poi pensò “Stradella Road, questo è un riccone.” Sistemò lo specchietto per guardarlo meglio. Attempato, con i capelli grigi e molto in sovrappeso. Sì, doveva essere sicuramente un riccone, qualcuno del cinema… era una faccia conosciuta!

Il tizio era evidentemente su di giri, continuava a fischiettare quel motivetto delle gocce di pioggia che era anche sul film di Butch Cassidy, ma ogni tanto si fermava e se la rideva di gusto dopo aver dato uno sguardo al suo smartphone. Era certamente qualcuno del cinema.

Appena il taxi prese la strada che portava ad uno dei quartieri più ricchi della città riuscì al sua memoria riuscì ad identificarlo: “Accidenti ma lei è Peter Schoel!”

Per tutta risposta l’uomo si produsse in una sonora risata e ammise “Ebbene si, dannato Carter, sono proprio io!”

“Come?” chiese John e per tutta risposta Peter Schoel rise di nuovo alla grande.

“Lascia perdere amico, è la battuta di una serie di fumetti italiani che in America penso di possedere solo io! Sì… sono io: Peter Schoel! Con una discreta scimmia da whiskey sulle spalle.”

“Oh cavolo, lo sa che ‘Promesse’ è il mio film preferito? L’ho visto non so quante volte!”

“Grazie, caro grazie… lasciami pure qua che sono arrivato”
John fermò la macchina e poi chiese: “Senta ma prima che scenda me lo può fare un autografo? Mi chiamo John Doubledee!”
“Ah ah ah, per anni non c’è un cane che ti si fili e poi in un giorno ben due autografi… eh, la vita…” disse Peter cercando la penna dall’interno della sua giacca. La trovò e nel contempo sentì il peso del plico pieno di banconote da cento dollari che avrebbe dovuto dare ad Anastasia. Lo tirò fuori e senza pensarci un attimo ci scrisse sopra “A John Doubledee, uomo fortunato”, poi firmò e lo lanciò sul sedile del passeggero.
Scese dal taxi ridendo e ricominciò a cantare “Raindrops keep falling on my head...”
“Grazie… ma signore ci sono dei fogli qui dentro…”

L’unica risposta che ottenne fu ancora un canto, stavolta urlato a squarciagola,  mentre Peter azionava il cancelletto della sua villa per poi scomparire al suo interno.

Raindrops keep falling on my head

But that doesn’t mean my eyes will soon be turning red

Crying’s not for me

‘Cause I’m never gonna stop the rain by complaining

Because I’m free!

 

Molto più tardi nella stessa notte, vicino alla celebre scritta “Hollywood” nota in tutto il pianeta, John Doubledee si fumò la prima canna di hascisc della sua vita e si gustò ogni luce di Los Angeles prima di addormentarsi nel suo taxi.

**

 

Il silenzio nella Sala delle Udienze era interrotto solo da qualche ping sonoro che segnava il superamento del record di connessioni in diretta da qualche settore dell’Universo.
“Alef…”
“Sì MioLord?”
“Vuoi farmi perdere ancora tempo o mi passi in fretta il prossimo capitolo?”

“Eccolo Miolord… si chiama ‘Dentista’ ed è in arrivo!”

 

**

 

Roger Wassen alzò le piccole tapparelle e guardò all’esterno del suo studio al piano terra. Eccola là, come tutte le sere puntuale alle sette e un quarto, la ragazza che faceva le pulizie nel suo studio la mattina e che, dopo altri lavori nella zona, prendeva l’autobus per tornare a casa.

Mary Luis, che razza di nome strano aveva, ma del resto con quelle tette poteva chiamarsi anche Michael Jordan che nessuno ci avrebbe fatto caso.

E come accadeva puntualmente da una settimana eccolo la, il suo innamorato timido e non dichiarato che la guardava di nascosto. Una volta facendo finta di leggere un libro, una volta il cellulare, una volta la mappa degli autobus. E lei niente, fissa a guardare il cielo, “Mary Luis, cosa guardi il cielo? Se vuoi far finta di nulla guarda in basso, lo stai facendo morire quel ragazzo… non te ne rendi conto?” pensava Roger; ma poi i suoi pensieri, come troppo spesso gli succedeva, si rivolsero verso se stesso e le sue inquietudini personali.

“E tu Roger non te ne rendi conto che ti stai facendo morire da solo? Hai trentasei anni e tua moglie Angie e i tuoi tre figli ti aspettano per andare domani al mare a festeggiare il tuo compleanno. Festeggiare cosa? Trentasei anni a fingere di non essere frocio?  Sì Roger, sei un frocio! Prima o poi beccheranno le tue tresche sulle varie chat e lei ti toglierà anche le mutande, tuo padre e tua madre piangeranno e si dispereranno… cazzo è il terzo millennio dell’umanità che palle! Cosa cazzo è questa storia che mi sto dando del frocio da solo nella mia testa? Sì sono frocio e allora? E allora ho anche una moglie e tre figli, e allora? E allora se non mi accetto da solo come pretendo che mi accettino gli altri? E perché mi dovrebbero accettare? Non ci potevo pensare prima di sposarti e avere figli? E sì detta così sembra facile ma….”

Richiuse le tendine e azzittì quei pensieri inutili, chiamò la segretaria con l’interfono: “Abbiamo finito Lorie?”

“No dottor Wassen, c’è un appuntamento con un nuovo cliente che deve decidere che tipo di intervento fare: il signor John Doubledee”

“Lo faccia entrare, allora”

Il dentista si lavò accuratamente le mani, e mise dei nuovi guanti sterili. Si infilò il copritesta con la lampadina che illuminava davanti alla testa, un accessorio simile a quello dei minatori, e attese il cliente.

Quando John Doubledee entrò nel suo studio Roger pensò subito che fosse l’uomo più bello mai visto in vita sua.

“Salve dottore!” disse John ottenendo solo un incerto sorriso come risposta.

“Sono qui perché finalmente dopo tanto tempo vorrei correggere questo mio difetto che mi perseguita da sempre… vede che brutta finestra che ho qui davanti? Si può fare nulla? La prego mi dica che si può far qualcosa, che da quando ho sedici anni io non mi posso vedere allo specchio, quando sorrido mi vergogno tanto… ora… ho avuto un colpo di fortuna, diciamo così, e mi ero ripromesso che la prima cosa da fare era questa e… dottore? Dottore?”

Roger si avvicinò a John e sfiorò le sue labbra con la sua mano coperta dal guanto blu in nitrile. John sorrise per evidenziare il suo difetto.

Il dottor Wassen riuscì solo a dire: “Signor Doubledee, lei è assolutamente perfetto.”

 

**

 

“Se non sbaglio siamo arrivati al gran finale Alef…”
“Non resterà deluso Miolord… è in arrivo il file ‘Maryluis'”

**

 

“Ancora lui. Cosa vuole da me? Perché non mi lascia in pace? Magari mi sta facendo delle foto con quel cellulare, le metterà su facebook? Rideranno di me, rideranno di queste tette che non mi danno pace. Signore ma perché? Perché una quarta quasi quinta su una come me? Sono un fenomeno da circo, mi evitano tutti, si vogliono fidanzare con me solo per scommessa. Sono orrenda. Eccolo che si avvicina, eccolo che fa finta di guardare la mappa degli autobus. Che guardi? Sì sono le mie e non sono di silicone, che vuoi? La sai a memoria quella merdosa mappa degli autobus e poi scendi due fermate prima di me tutte le sere, che cazzo devi guardare ancora la mappa? Cosa sei autistico? Che poi non saresti male, perché non ti trovi una bella ragazza da guardare? Guarda quella lì: riccia rossa, bella, magra, proporzionata… senza questa specie di airbag esploso qui davanti. Ma io mi tolgo tutto, voglio essere piatta, la prima cosa che faccio con i miei soldi riduco questo seno, ma si può? 53 chilogrammi di cui 50 di tette no, così non si può andare avanti… dimagrisco dappertutto ma non sul seno, ma che cazzo di corpo mi hai dato Signore? Ah ma io mi opero, hai voglia se mi opero, che qui pensano tutti che sono finte e che io sia una zoccola. Oppure ritorno a fasciarmele. Dio che male che facevano però. Guarda questo, sono settimane che è qui intorno, mi ha visto due settimane fa, e da allora tutte le sere è qui. Ma che vuole? Rieccolo! E poi guarda proprio me, mica questa gran figa asiatica qui vicino, no guarda me, vuole ridere di me, chissà quante se ne scopa uno bello come lui. Oddio è un po’ demodè, un po’ troppo vintage, sembra quell’Eddie Vedder che piace tanto a mia madre… ma che cosa vai in giro con la camicia a scacchi scozzese a Los Angeles ragazzo? Però acchiappa, guarda quella rossa come lo guarda, ora se ne accorgerà che la rossa lo sta guardando e… no è qui a guardare a me di nuovo, Signore che sei nei cieli ma perché non fai qualcosa…”

“Scusa!”

Mary Louis abbassò lo sguardo dal cielo e guardò finalmente il ragazzo con la camicia a scacchi scozzese negli occhi. “Oddio ha anche gli occhi azzurri, Signore iddio se è bello!” pensò ma invece disse scortesemente: “Che vuoi?” con un tono che suonava come “Vattene stronzo!”.
Il ragazzo abbassò gli occhi, disse solo: “No, niente scusa” e si voltò per andarsene; Mary Louis si rese conto della sua scortesia e lo richiamò: “Ehi, scusa! Ero sovrappensiero, davvero scusami… dimmi pure!”
Lui si voltò di nuovo verso di lei, ma riuscì ad emettere solo una serie di suoni disarticolati tanto che lei fu costretta a dire “Scusami, ma non ho capito”.
Lui abbassò lo sguardo e aprì la sua cartella tirando fuori un blocco da disegno. Lo aprì e le mostrò il ritratto che le aveva fatto. Evidentemente il risultato di un’osservazione molto attenta.

Era indubbiamente il suo viso e lei si riconobbe ma subito dopo pensò che non poteva essere lei la donna ritratta, perché lei non era certo così bella. Si mise una mano sulla bocca per frenare la meraviglia, era il tratto di un artista geniale.
“Cavolo ma sei bravissimo… ma sono io? No vero? Questa non sono io, dai!”

“E perché te lo starei facendo vedere se non fossi tu? È che solo… niente… è una settimana che ti ho vista e… io so che insomma una come te… insomma è troppo per me osare pensare che tu non sia già fidanzata però visto che prendi sempre l’autobus da sola allora ho pensato che…”

Mary Louis lo abbracciò senza consentirgli di dire altro e lo baciò mentre ringraziava il cielo per una cosa così bella che pensava potesse accadere solo nelle serie di Amazon prime.

 

Dall’altro lato della strada Roger infilò i rayban e disse ad alta voce mentre apriva la capotte della sua Mercedes coupé: “Brava Mary Louis, così si fa!”
John al suo fianco chiese: “Cosa hai detto Roger?”

“Niente, solo un po’ di cose che stanno andando a posto” rispose il dentista, poi mise in moto e si scaraventarono in mezzo al traffico.

 

**

 

Il silenzio nella Sala delle Udienze era assoluto. Miolord finì di scansionare tutti gli eoni di informazioni negli archivi a cui la sua rete neuronica aveva accesso e poi si rivolse ad Alef.

“Dunque, tu vorresti altro tempo per questa specie demente ma dominante su quel pianeta… e io te lo dovrei concedere sulla base di storie inventate da un cantante geniale?”

“Miolord, non sono storie inventate da un cantante… si quel Lucio Dalla aveva fatto un abbozzo di queste storie poi…”
“Ma cosa credi che mi chiamo Miolord per caso Alef? Ho capito, sono storie abbozzate da questo cantante, tale Lucio Dalla per una sua canzone, ovvero “Merì Luis” contenuto nel LP “Dalla” del 1980 secondo la datazione maggiormente in voga su quel pianeta e rielaborate qualche mese fa da uno scribacchino qualunque che ci è rimasto sotto a furia di ascoltare quella canzone. E allora?”

“E allora Miolord, da quanto tempo per lei conta se le storie siano vere o siano inventate per definire la loro importanza?”
Ukul, l’assistente di Miolord, emise un sussulto vocale e si preparò a pulir via le ceneri di Alef dalla sala. Il silenzio durò qualche istante poi il ping dagli schermi avvertì che le connessioni avevano raggiunto il valore massimo nell’ultimo ciclo del Grande Attrattore.
Miolord sentenziò: “Diecimila dei loro anni. Non un centesimo di ciclo di attrattore di più! Se almeno questo scribacchino si fosse fatto ispirare da ‘Com’è profondo il mare’ ne potevo concedere anche ventimila.”

Subito dopo Miolord e Ukul si teletrasportarono altrove.
Alef uscì dalla sala delle udienze canticchiando: “Raindrops keep falling on my head…”