Giallo-Noir-Thriller

Ricordi Discordanti

Pubblicato il 2 Feb 2020

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Racconto premiato con il terzo posto del concorso Turno di Notte 2019. Lo trovate nell’antologia edita da Bacchilega Editore “Paura”. L’incipit (in comune per tutti i partecipanti) da cui è stato sviluppato il racconto nella notte del 21 luglio 2019 è di Carlo Lucarelli

***

Erano due, e un attimo dopo tre. Ma all’occhiata successiva, giusto il tempo di abbassare lo sguardo, non c’erano più”.

E perché?”

Non lo so. Non era la domanda più importante, in quel momento. Avevo una strana sensazione”.

Preoccupazione? Inquietudine? Paura?”

No. Direi sollievo. Di più… felicità. Gioia”.

“Gioia?”

“Certo… gioia… non è chiaro? Avevo finalmente avuto la prova che non ero io il pazzo”

“Sì ma… certo, capisco questo punto di vista ma… insomma…”

“Insomma?”

“Non credi che dovresti avere paura?”

“Paura? È evidente che non hai capito… anzi scusami…. è evidente che non sono riuscito a farti capire il mio punto di vista!

“No Riccardo… e sinceramente non capisco perché hai dovuto tirare fuori questa storia di fronte ai nostri ex compagni di classe… davvero dico… non ti capisco; se a me capitasse un fatto del genere ci penserei non due ma mille volte prima di andarlo a raccontare in giro… e invece tu… sembra che ci godi! Ne vai fiero… ma come fai?”

“Allora Aldo, sei tu il padrone di casa… gli altri se ne sono andati e tua moglie è in vacanza con le tue piccole… se vuoi cerco di rispiegarti tutto… però dimmelo, ancora una volta: la vedi? Qui in questa foto la vedi?”

“Sì…”

“Allora ricominciamo….”

Riccardo Renzulli prese una Winston, la accese e cercò di trovare le parole migliori per raccontare di nuovo la storia in una maniera coerente.

“Sai quando è stato la prima volta che mi sono accorto che i miei ricordi erano differenti? Subito dopo la maturità. Anzi il giorno stesso: il 6 luglio 1991. Ti ricordi che io te e… io e te, siamo andati in piscina per festeggiare la fine degli esami?”

“Sì questo me lo ricordo”

“A un certo punto, mentre ci raccontavamo degli episodi buffi che avevamo passato insieme in quegli anni di liceo, io vi… io ti chiesi se ricordavi quello scemo di Lamperini che era arrivato a scuola con il motorino senza accorgersi che il bauletto era aperto e aveva disseminato la via delle pagine del suo quaderno ad anelli.”

“Ma io non…”
“Non ti ricordi che Lamperini fece una cosa del genere, giusto?”

“No, infatti”

“E non te lo ricordavi già allora, nonostante fossero passati solo due anni e non trenta come adesso!”

“Ma io…”
“Ma tu non ti ricordi che in piscina te lo chiesi.”

“Esatto!”

“E questo ci può anche stare, ma il problema è che io me lo ricordo perfettamente… il giorno di Lamperini con il bauletto aperto dico.”

“Mmm ma… forse…”

“Ne abbiamo riso, e ne abbiamo riso tanto Aldo… ne abbiamo riso che stavamo male… Coletti rise così tanto che vomitò la colazione… Lanzini lo raccontò anche ai professori per giustificare che eravamo entrati in ritardo”

Riccardo spense la Wiston nel portacenere di vetro del padrone di casa.

“I miei dubbi cominciarono quel giorno, Aldo”

“Va bene Riccardo, ma esattamente cosa mi vuoi dire?”

“Aspetta… guarda questo prima.” Il quasi cinquantenne ospite nella casa del suo coetaneo prese un foglio dalla tasca posteriore dei jeans, era un foglio di quaderno ad anelli formato A4; sopra a delle disequazioni ormai incomprensibili per entrambi una scritta, fatta con uno degli Uniposca rossi che erano negli astucci di ogni studente delle superiori negli anni ’80. “Lamperini re dei cretini!” e poi sotto, appena più piccolo “Giovedì 16 marzo 1989”.

“Cosa sarebbe questo?”

“Lo puoi capire”

“… Riccardo, mi vuoi dire che questo è uno dei fogli di Lamperini che aveva perso per strada?”

“Esattamente.”

“Beh… vabbè, Ricca’… ammesso che sia successo… ammesso e non concesso dico, questo non vuol dire nulla… a parte che come prova, lo sai anche tu, che ti piacciono i gialli… lo sai che non reggerebbe no?” Aldo sorrise, cercando di evitare di calcare la mano sul fatto che il suo amico non stava evidentemente troppo bene con la testa.

“Aldo… la scritta, guardala!”

“Cosa dovrei vedere?”

“Guardala bene”

Aldo riprese sbuffando il foglio in mano. Rilesse la scritta, poi guardò di nuovo il suo amico che con un cenno degli occhi lo invitò a prestare più attenzione e finalmente capì.

Il punto esclamativo alla fine non recava un semplice punto sotto la stanghetta verticale ma una stellina. Quel punto esclamativo lo aveva fatto lui. Senza ombra di dubbio.

“Ci sei arrivato eh?”

Aldo si alzò e non disse niente, cercò di ricordare. Adesso cercò veramente di ricordare. Ma non gli sovveniva nulla di quell’episodio. Sì, lui aveva di certo degli Uniposca a quei tempi. Chi non ce li aveva del resto? Come avresti scritto altrimenti le frasi sconce sul muro del bagno? E comunque sì, lui scriveva mettendo stelline sotto i punti esclamativi… era una sua firma anche quando dipingeva i murales, era il modo per farsi riconoscere dagli amici ma non dalla polizia.

Ma di Lamperini che arrivava perdendosi la roba di scuola dal motorino no. Non se lo ricordava proprio quell’episodio. E non si ricordava proprio di aver avuto un compagno di scuola che si chiamasse Lamperini.

Guardò il suo amico, si sedette, prese una delle Winston dell’amico e se l’accese.

“Va bene, diciamo che hai attirato la mia attenzione, quindi?”

“Allora. Mille ragazzi davanti all’Istituto Tecnico Industriale Statale, con l’età che varia dai quattordici non compiuti ai venti per i ripetenti più tosti, il rumore è tale che bisogna parlare forte per sentirci. Tutti i mille ragazzi concentrati in un piazzale di fronte all’entrata ad aspettare che suonino le campanelle che danno inizio alle lezioni. Ragazzi dico, quasi tutti ragazzi, perché in quegli anni alle industriali c’erano dieci o massimo undici ragazze. Comunque il rumore è tale che per sentirci, noi… io te e Matteo… eravamo sempre noi tre… lascia perdere che non ti ricordi neanche di Matteo Coccia, lascia perdere questo fatto adesso… eravamo sempre noi tre, te lo dico io… sempre allo stesso posto, dieci metri a destra della fermata dell’autobus, davanti la cabina telefonica. Dovevamo spesso alzare la voce altrimenti neanche sentivamo le parole l’uno dell’altro. Poi di improvviso, come ogni mattina senza pioggia passa lei in bicicletta. Valery. E non era un nome inventato, si chiamava proprio così Valery, una delle prime ragazze a portare nomi stranieri, poi sono venute le varie Sharon, Brenda, Brooke e roba varia. Ma lei si chiamava Valery, con quei capelli rossi che la rendevano riconoscibile a un chilometro di distanza. Valery passa sulla sua bicicletta da passeggio, bianca. E mano a mano che passa lungo i duecento metri del piazzale, tutti i ragazzi si azzittano al suo passaggio e la guardano andar via. Verso il suo liceo classico che era ad un chilometro in linea d’aria dall’Itis e quattro classi marxiste da quello di noi con la famiglia più ricca…. noi che arrivavamo al centro con gli autobus dalle periferie più sgangherate. O con il Califfone. O con qualche improbabile motorino della Piaggio che si accedeva a pedali, roba che adesso i giovani si metterebbero a ridere. Ecco… Valery passava e tutti gli studenti delle industriali si azzittavano… cazzo Aldo, ci siamo fatte le pippe per anni pensando a Valery.”

Aldo guardò con un velo di tristezza l’amico che si era prodotto in un monologo di ricordi incontenibile, avrebbe meritato un applauso a scena aperta fosse stato a teatro.

Spense la Winston nel posacenere a fianco a quella spenta poco prima dal suo amico “No Riccardo, proprio non me la ricordo”.
Si alzò andò verso la finestra e spostò le tende. “E non mi ricordo Matteo. E non mi ricordo neanche il professor Silvestrini. Chimica Fisica ce l’ha sempre insegnata Cacami, che prendevamo in giro per l’assonanza ovvia. ‘Cacami! No, non ti caco proprio!’. Questo te lo ricordi?

“Sì, ma Cacami insegnava solo Chimica Analitica, Chimica Fisica ce la faceva Silvestrini”.

“No Riccardo, mi dispiace è troppo assurdo”

Riccardo si alzò e prese il giaccone, fece per infilarlo e poi invece lo buttò sulla poltrona.

“Le puntate di ‘Ai confini della realtà’ te le ricordi?”

“Sì, ma le vedevo poco… a me non piaceva la fantascienza… a differenza tua.”

“E di Matteo”

Aldo, sospirò e si butto pesantemente sulla poltrona. “Perché stasera, Riccardo? Perché hai deciso di rovinare la serata a tutti tuoi ex compagni di classe?”

“Forse perché io di compagni di classe me ne ricordo ventuno, e non diciannove?”

“Riccardo, lo sai che io ti posso solo consigliare…”

“Sì sì, uno bravo, lo so! Ti dicevo, ‘Ai confini della realtà” prima stagione, c’è una puntata tremenda da vedere, in cui tre piloti rientrano da un volo sperimentale; uno viene trattenuto in ospedale e gli altri due vanno a bere per festeggiare il rientro. Uno dei due scompare mentre sono al bar e nessuno se ne accorge, anzi gli dicono: ‘signore lei è entrato da solo’. Allora lui torna in ospedale, ma neanche il suo copilota si ricorda del terzo membro dell’equipaggio. Allora lui scappa via, il copilota lo insegue e l’infermiera gli dice, ‘Ma chi sta inseguendo? Lei è sempre stato solo nel volo sperimentale!’ Lui sgrana gli occhi dal terrore… dissolvenza in nero, poi due medici entrano in quella che era la sua stanza, adesso vuota, dicendo, ‘abbiamo tre posti liberi qui’ e la puntata si chiude con il primo piano del giornale: ‘Incidente in un volo sperimentale, tre piloti morti’! Terribile vero?”

Aldo fissò Riccardo, ormai convinto che il suo amico fosse impazzito.

“Puoi immaginare quando l’ho rivista qualche anno fa, questa puntata. È lì che ho capito che queste cose succedono Aldo. Succedono.”

“Quindi riassumendo qualcuno ha fatto scomparire due dei tuoi ex compagni di classe, perché? Riccardo, tu non sei un pilota di jet sperimentali, non sei neanche un chimico famoso, non hai sotto brevetto la sintesi di molecole salvavita… insomma perché qualcuno dovrebbe farti questo?”

Riccardo Renzulli si passò una mano fra i capelli e anche lui si buttò in una delle poltrone presenti nel soggiorno dell’amico.

“Allora, il foglio di Lamperini l’hai visto? Accetti che esista?”

“Il foglio sì… il fatto che io non me lo ricordi… forse non veniva in classe con noi, è una spiegazione più semplice dei complotti internazionali?”.

“La foto di Valery che passa in bicicletta nella strada davanti le industriali, l’hai vista?”

“Sì, ma questo…”

“Non vuol dire niente, no certo… la ragazza più bella della città di cui fantastichiamo tutti i giorni da adolescenti descrivendo minuziosamente le pratiche sessuali che avremmo voluto mettere in atto con lei… il fatto che tu non te la ricordi, non vuol dire niente… ovvio”.

“Riccardo ti prego, arriva al punto della questione, non ce la faccio più a seguirti.”

“Hai mai sentito dei ricordi che coprono i traumi, i falsi ricordi, i meccanismi di rimozione?”

“Diciamo di sì”

“Allora, metti che qualcuno che voglia modificare o alterare la storia, o convincerci di avvenimenti che non sono mai esistiti, abbia trovato il modo di inserire dei ricordi chiave, nelle nostre memorie che se togli quelli viene via tutto il resto.”

“No, no fermo un attimo… un falso ricordo è qualcosa che…”
“Che la mente umana usa per mascherare un trauma.”

“Esatto, tipico esempio è il fatto che uno si ricordi di essere stato rapito dagli alieni perché è meno doloroso che ricordare di essere stato picchiato dai genitori”.

“Bravo, dieci e lode”

“E che c’entra con questa situazione?”

“Immagina che alcuni ricordi ci vengano messi in testa perché togliendo quelli sia più facile togliere tutto il resto… cioè altri ricordi!”

“Siamo al livello masterclass del complottismo eh?”

Riccardo si alzò dalla poltrona e si infilò il giaccone.

“Dai Riccardo non volevo offenderti”

“Non mi hai offeso”

“Aspetta, allora tu hai detto che li hai rivisti… Valery, Lamperini e Silvestrini…”

“Sì, li ho rivisti… per un attimo, come ti dicevo”

“Dove li hai rivisti, Riccardo?”

“Ti piacerebbe che ti dica che li ho rivisti come fantasmi eh? Così mi mandi subito dallo psichiatra a prescrivere qualche pillola e ti liberi dell’amico scomodo vero?”

“Dai non fare lo stronzo, dove li hai visti?”

“Li ho rivisti perché con tanta fatica li ho rintracciati. Gli ho dato un falso appuntamento… a tutti e tre… come sono arrivati mi hanno visto e in un attimo dopo erano scomparsi. Loro non erano come noi, erano ipnotisti… o comunque lavoravano per loro. Cioè come degli attori che attiravano la nostra attenzione. E al momento giusto, ti tolgono i ricordi legati a loro e ti cambia tutto quello che hai in testa… mi capisci?”

“No, fermati Riccardo, fino ad ora poteva esserci un senso in quello che dicevi ma ora…”

“È questo il senso, ci hanno messo vicino persone la cui stessa presenza condiziona i tuoi ricordi. È come se il ricordo di Valery sia un accesso ad altro nella tua mente, ti tolgono quello e voilà, nella tua testa scompare un intero settore di eventi legati a quel periodo. Capisci?”

“Ma chi te li dovrebbe togliere Ricca’? Suvvia, chi te li dovrebbe togliere?”

“Gli ipnotisti… che possono essere ovunque, il tuo dottore… il medico che ti da la patente, la polizia che ti ferma per un controllo… lo possono fare ovunque!”

“Oddio mio come sei messo male Ricca’… ma perché lo farebbero?”

“Te l’ho detto… per non farti ricordare dei pezzi della tua storia, per non farti ricordare che le elezioni non le aveva vinte Tizio ma le aveva vinte Caio. Matteo sicuramente lo hanno fatto sparire perché aveva scoperto qualcosa… lo fanno per centinai di motivi Aldo… tipo per non farti ricordare che il Messico…” Riccardo si fermò e guardò gli occhi dell’amico. Lesse una sincera preoccupazione nei suoi confronti. Ormai per lui era un folle, inutile proseguire; avrebbe solo peggiorato le cose.

Riprese il foglio perso da Lamperini, la foto con Valery in bicicletta ed i suoi capelli rossi mentre passava di fronte all’Itis, li mise nella tasca del giaccone e aprì la porta accingendosi ad uscire dalla casa del suo amico.

“Riccardo, dimmi una cosa…” la voce di Aldo lo fece fermare, si voltò e guardò l’amico. “Perché allora tu ti ricordi le cose diversamente da noi? Perché con te non funziona il ‘lavaggio del cervello o ‘lo svuotamento’ o come lo vuoi chiamare?”

Riccardo sorrise… “Aldo… non ti ricordi neanche che mi avete sempre chiamato ‘Riccardo il pazzo’?”

Poi se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.

Aldo si alzò, si avvicinò nuovamente alla finestra e vide l’amico attraversare la strada e allontanarsi a piedi nella notte.

“Poveraccio!” Pensò “Ancora un poco e avrebbe tentato di convincermi che negli anni delle superiori era caduto il muro di Berlino”.