Horror, In evidenza

Il viaggio di Cate

Pubblicato il 27 Giu 2022

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La manovra disperata non funzionò. L’asteroide centrò la piccola astronave prima che questa avesse il tempo di lanciare i suoi missili contro di lui e la ridusse in mille pezzi.
La scritta game over apparve sullo schermo della vecchia tv Mivar a cui era collegato l’emulatore del computer Amiga500, la musichetta trionfale fece capire a Caterina che aveva comunque battuto il record dello zio.
Scrisse il suo nome nella hall of fame e lo osservò mentre veniva portato trionfalmente al primo posto. Ci rimase qualche secondo, poi la corrente elettrica se ne andò.
Nell’oscurità dello studio la prima cosa che le venne in mente fu che lo zio Jody avesse tolto la corrente apposta per evitare che il suo record ad Asteroids potesse essere registrato nella memoria di quel vecchio home computer.

“Ziooooo” urlò Caterina: “Questa è una cosa estremamente scorretta!”

Rimase in ascolto, poi si rese conto che il silenzio era totale, avrebbe dovuto sentire le voci dei suoi genitori e degli zii nella camera a fianco e invece nulla.

“Zio?” chiamò con voce leggermente più flebile.

Scese dalla sedia e provò a dirigersi a memoria verso la porta, ma l’oscurità era totale come il silenzio. Rimase ferma in piedi per paura di sbattere contro qualcosa.

“Mamma?.. Papà?”

“Non ti sentono da qua!”

Caterina urlò di spavento e si girò verso la voce che aveva sentito. Si calmò subito e non chiamò aiuto perché il giovane uomo che era illuminato da una strana luce dal basso le apparì stranamente familiare.
Il lungo mantello scuro, le lunghe ciocche spettinate dei suoi capelli neri e la pelle chiara le fecero venir subito alla mente la versione giovanile del professor Python che aveva visto nei film di Harry Potter, ma subito dopo si accorse che non era lui, nonostante la somiglianza.

“Come sei finita qui?” le chiese l’uomo.

“Come sono venuta qui? Che significa? Mi ci hanno portato i miei a casa degli zii!”

L’uomo la guardò incurvandole sopracciglia con fare interrogatorio. Sì, quell’uomo decisamente si comportava come Il Professor Python anche se non lo era.

“Con la macchina!” Aggiunse quindi Caterina per ribadire la sua legittimità ad essere esattamente in quel posto.

“Mia cara, io non sono tuo zio, quindi non sei a casa dei tuoi zii”.

“Ma chi sei?”

“Uff… io mi chiamo Sogno, e se sei qui…”

“Sto sognando!”

“No, in genere vuol dire che sei morta.”

“Morta… ma che cosa… Zioooo adesso basta con gli scherzi! Mamma, Papà! C’è un signore che mi sta importunando aiuto!” Urlò la tredicenne lanciandosi verso le mura illuminate dal chiarore che illuminava l’uomo -Sogno.

Cominciò a battere con i pugni contro di queste, poi si voltò verso il signore e vide che lui la stava guardando con curiosità”.

“Mmm… mia sorella deve avermi fatto qualcuno dei suoi soliti scherzi… piccola stai tranquilla, ma questo è, inevitabilmente, solo l’inizio!”

“L’inizio di cosa?”

“Di me” sorrise l’uomo: “Di Sogno!” Poi svanì e la stanza tornò nel buio.

Caterina rimase ferma attaccata alla parete di nuovo nell’oscurità completa, il suo respiro cominciava ad aumentare, ma non si sarebbe fatta prendere dal panico. Era di certo uno scherzo di zio Jody e non voleva far la figura della fifona. Contò fino a dieci e poi provò a richiamare i suoi genitori.

“Mamma.. papà? Dite a zio Jody di piantarla per favore?” disse ad alta voce.

“Chi è zio Jody?” le chiese un’eterea figura femminile che attraversò il muro sul quale era appoggiata.

Stavolta Caterina urlò a squarciagola. Urlò tanto da far tremare le pareti e cercò di scappar via, ma arrivo solo a sbattere contro il muro dalla parte opposta della stanza.

“Ti sei fatta male piccola?”

“No, va via! Stammi lontana, va viaaaaa!”

“Accidenti che scortesia, e chi saresti tu bambina maleducata?”

A sentire quelle parole Caterina riacquistò subito il controllo di sé. Nessuno, fantasma o meno, poteva dire che lei fosse maleducata.

“Io non sono maleducata! E non sono più una bambina. Semmai è lei cara signora fantasma che va in giro a spaventar la gente uscendo dai muri”

“Oh ma cosa dici piccola? Io non sono mica un fantasma”

“Ah no? E cosa è allora? ”

“Oh perbacco, ma non si vede? Sono una donna che diamine. Piacere mi chiamo Anna Enne!”

“Scusi signora Anna Enne, ma se non è un fantasma come fa a passare attraverso i muri?”

“Quali muri?”

“Quel muro, dove ero appoggiata”

“Ma piccola, non vedi che c’è un corridoio a fianco del tuo muro?”

Caterina guardò e, fantasma o meno che fosse, aveva ragione: c’era un corridoio. Un corridoio da cui veniva anche una debole luce.

Si avvicinò ad esso, poi girandosi guardò Anna Enne. Le stava sorridendo, aveva degli occhiali grandi è un ciuffo di capelli pettinati in stile moderno che sembrava appena uscita dalla parrucchiera. Ma era trasparente, era diafana.

“Scusi signora Anna Enne, ma se non è un fantasma, perché le posso guardare attraverso?”

“In che senso piccola?”
“Beh lei è… è .. trasparente!” Disse Caterina, e allungò la mano verso di lei. Anna Enne allungò la sua mano verso quella della tredicenne; le due mani si sovrapposero e poi si separarono. Caterina aveva come sentito una piccola scossa di elettricità. Anna Enne si guardò la mano, ci pensò sopra e poi disse: “Oh, ma questo è ben strano… eppure io sono certa di non essere morta. E se non sono morta io allora forse lo sei…” Si fermò volgendo il suo sguardo triste a Caterina.

“No no, mi dispiace ma io morta non sono proprio… l’ho detto anche a coso lì… Sogno!”

“Ah ecco, hai visto Sogno? Allora mia cara si spiega tutto, sta tranquilla… sarà una notte ancora lunga.”

“Ma…”

“Scusami devo andare, non vorrei vedere sogno anch’io!” disse Anna e scomparve nel nulla.

Caterina strinse le spalle e si dirisse verso il corridoio.

“Mamma? Papà? Zia Stefania?” chiamò più volte mentre camminava. “Zio Jody?” aggiungeva ogni tanto, anche se non era sicura di voler vedere zio Jody che certo se la stava ridendo di gusto per lo scherzo.

Si avvicinò ad una porta sulla destra del corridoio da cui veniva una luce più intensa e prima di affacciarsi chiamò ancora.

“Mamma, papà?”

Sentì uno sfregolare di catene poi sopraggiunse un lamento mugulante.

“Mamma?”

Entrò nella piccola stanza, c’era un’enorme finestra con delle grate di ferro, come quelle che aveva visto nelle cantine o disegnate su qualche fantasy medioevale.
“Mamma no. Mamma bella. Mamma sopra.” La voce veniva da dietro di lei; era infantile e sembrava appartenere ad un bambino che non avesse avuto più di cinque o sei anni, ma il ragazzo per quanto se ne stava seduto con la testa china e i capelli lunghi che gli coprivano il volto era decisamente più grande. Forse era anche più grande anche di lei, ma era legato con delle catene ai polsi ed era seduto per terra con la testa rivolta verso il basso e il volto completamente coperto da lunghi e sporchi capelli neri.

“Mamma no. Mamma sopra.” Ribadì il concetto.

“Ma sopra dove? Questa è casa di zio Jody e Zia Stefania, loro non hanno bambini, chi sei?”
Un lamento molto più greve di quello che aveva sentito prima fu emesso dal ragazzo. Le ricordò vagamente il verso di una mucca,

“Io brutto io qui io brutto mamma bella sopra”. Il ragazzo si mise le mani sopra le testa i suoi capelli si spostarono un poco, Caterina intravide un occhio del ragazzo, aveva un colore verde intenso.

“Ma perché dici che sei brutto, dai sta tranq…” Caterina smise di parlare. Le mani del ragazzo avevano sei dita. Avevano sei grosse dita che sembravano essere tutti degli abnormi pollici. La paura le si attaccò addosso come una tenaglia, non riuscì più a dire nulla o a muovere nulla del suo corpo.

Il ragazzo alzò un poco la testa e si scoprì anche l’altro occhio attraverso le ciocche di capelli unti e bisunti. Occhi verdi. Troppo verdi. Occhi troppo verdi e troppo grandi.

“Tu bella. Tu piccola mamma”

Caterina non seppe trovare un senso a quelle parole e, anche se lo avesse trovato, sarebbe scomparso subito perché vide il volto deforme della creatura. Decisamente una creatura, non riusciva più a concepirlo come ragazzo. E si stava alzando in piedi.

“Perché tu bella io brutto io qui belli sopra. Perché brutto io” Dopo le sconclusionate parole la creatura ululò di nuovo, stavolta fortissimo. La sua bocca era sproporzionata… sembrava un uomo con la bocca di uno squalo. Caterina aveva visto un documentario sugli squali poco tempo prima e la somiglianza la trovò ancora più evidente quando le arcate dentali nella bocca aperta si serrarono fra di loro a metà della bocca che continuava a restar ferma. I denti si aprivano si chiudevano indipendentemente dalle mandibole e dalle mascelle che restavano ferme.

Caterina trovò il fiato e urlò di paura. La creatura le si lanciò contro ma fu fermata ad un metro da lei dalle catene che portava ai polsi. Serrò più volte le arcate dei denti e lei poteva sentire la puzza del suo fiato. Urlando Caterina si ritrasse verso il muro di fondo, l’essere le tagliava la strada verso la porta. Non poteva fuggire.

Sperò che le catene fossero solide, ma per tutta risposta il mostro urlò e le strattonò. Polvere e intonaco si staccarono dal muro; questo non avrebbe retto per molto. Non aveva scampo.

L’essere strattonò le catene ancora e ancora, poi finalmente si liberò ed emise un verso terribile a metà strada tra quello di una mucca e di un lupo. Caterina era ormai disperata ma, d’improvviso, la grata di ferro che era alla finestra della stanza fu letteralmente sradicata dalla parete e volò via.

Una mano enorme entrò dalla finestra e prese l’essere ululante portandolo al di fuori delle mura. Caterina guardò all’esterno: c’era un gigante. Un gigante enorme dritto in piedi davanti alla finestra della casa di zio Jody (ma quale casa di zio Jody? Era un enorme castello!) teneva in mano l’essere deforme che la terrorizzava fino ad un attimo prima e lo stava portando verso di se. Poi il gigante inclinò la testa all’indietro e lo lasciò cadere come fosse una polpettina al sugo nella sua enorme bocca.

L’essere ululò ancora ma dopo qualche secondo si senti solo il rumore di un’orrenda masticazione di muscoli ed ossa.

Caterina ne aveva avuto abbastanza, si lanciò urlando verso la porta della stanza dalla quale era entrata, ma mentre la stava oltrepassando inciampò e cadde. Le sembrò di cadere per sempre e urlò ancora più forte fino a quando la sua guancia non colpì il pavimento.

Aprì gli occhi, la luce era accesa e c’era un gran rumore di passi concitati al di là della porta che si aprì subito dopo.

“Cate tutto bene?” chiese suo padre e le corse incontro mentre lei si stava già rialzando.

“Piccola che succede? Vado a prendere il disinfettante, ti sei ferita cadendo?” disse Zia Stefania.

“Ma no zia, sto bene… mi sà che mi sono addormentata mentre giocavo ad asteroids… e sono caduta dalla sedia!”

“Cate, il computer Amiga è di la’ nello studio questa è la tua stanzetta per dormire quando ti ospitiamo!” Disse zio Jody.

La madre guardò sul letto e poi disse “Cate ti sei letta tutti questi fumetti in questao poco tempo che sei stata sola?” Li raccolse e lesse ad alta voce i titoli: “Il fantasma di Anna Never, Sandman, L’attacco dei giganti e…. ah Jody che è sta roba? Nato di uomo e di donna? Roba sconcia?”

“Ma no figurati, è la versione a fumetti di un racconto di Matheson”

“Robaccia horror!”

“Aho, guarda che L’attacco dei giganti me l’ha regalato proprio Caterina a Natale… e mica solo da me può conoscere il genere horror”

“Cate hai sognato? Hai avuto un incubo che urlavi tanto?” le chiese ancora sua madre.

“Sì… cioè boh… ma io stavo giocando e poi la luce è saltata ed è arrivato…. oppure stavo leggendo? Aspettate che sono un po’ confusa…”

“Ecco l’acqua ossigenata!” disse la zia premendole il batuffolo sulla guancia.

“Ziaaaaaa, mica sanguino! Ma che non lo vedi che non sanguino?”

“Evvabbè ma i batteri…”

“Ma che batteri zia, sei sempre la solita!”

“Umf, pure! E io che mi preoccupo per te!” Sospirò zia Stefi.

“Via s’è fatta una certa stasera! Mi sa che andiamo a casa!” disse Daniele.

“E no prima finiamo Monopoli per una volta che sto vincendo!” reclamò Sandra, mentre tornavano nella sala.

Caterina li seguì ancora perplessa, poi vide lo zio Jody che stava guardando lo schermo collegato all’Amiga. “Accidenti Cate, hai fatto un record eccezionale, mi sa che non lo batterò mai!” le disse mentre spegneva lo schermo e usciva andando anche lui verso la sala.

Cate lo guardò perplessa, poi lo richiamò.

“Zio?”

“Sì Cate?”

“Non mi mettere più nelle tue storie per favore!”

Zio Jody allargò le braccia e le sorrise: “Evvabbè…”