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Leggende urbane cap. 3: la riserva di Dino Zoff

Pubblicato il 28 Giu 2018

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Prima di Gigi Buffon la leggenda italiana fra i pali aveva il nome di Dino Zoff. Portiere friulano strepitoso, sicuramente nell’olimpo del ruolo insieme a Yascin e Zamora di cui si mormorava che fosse debole sui tiri da lontano ma la realtà è che riguardando anche oggi quei gol in cui gli hanno dato la colpa (Magath nel 1983, i due gol olandesi ai mondiali del 1978) probabilmente non li avrebbe presi mai nessun essere umano.

Ma se Zoff era il numero uno, la Juventus aveva anche un numero dodici. Conosciuto generalmente come “la riserva di Zoff”.
Per questi numeri dodici, specialmente se giovani, si prospettavano lunghe stagioni con il culo sulla panchina, a gelarsi con la neve invernale e ad aspettare qualche amichevole o qualche partita di coppa Italia di secondaria importanza per scendere in campo.

Storicamente si ricorda come “la riserva di Zoff” Luciano Bodini, che si affezionò tanto a quel ruolo che continuò a fare la riserva anche quando il posto di Zoff fu preso da Stefano Tacconi (altro portierone leggendario).

Prima di Luciano Bodini però c’era un giovane di buone speranze che corrispondeva al nome di Giancarlo Alessandrelli. Dopo tre anni di panchina e zero presenze in campionato nell’ultima gara della stagione 1978-79 Juve Avellino, Trapattoni lo manda in campo per il debutto. Il risultato è sul 2 a 0 e dopo pochi minuti dall’entrata di Alessandrelli va addirittura sul 3 a 0.

Quello che si direbbe un debutto facile, no? Sbagliato, arriva l’incubo.
Due interventi goffi su due tiri di Tonetto dell’Avellino consentono agli irpini di portarsi sul 2 a 3 e poi all’ultimo minuto una goffa uscita della “riserva di Zoff” fissa il risultato sul 3 a 3.

Mezz’ora di campionato. Tre gol di subiti. Media di uno ogni dieci minuti di partita.

L’avventura di Alessandrelli alla Juve finisce qui, il portiere viene ceduto all’Atalanta e poi si perde nelle serie minori.

Il calcio sa essere uno sport crudele.

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La Germania eliminata al primo turno (per di più da campione uscente) è qualcosa che va oltre ogni possibile previsione. La Corea colpisce ancora, se quella del Nord aveva dato dispiaceri a noi italiani nel 1966 e quella del Sud nel 2002 (ma in quell’occasione anche a Spagna e Portogallo per la verità) quest’anno è il turno dei crucchi, a cui evidentemente il post dell’altro giorno non aveva portato bene ricordando i loro misfatti del ’54.
Capita quindi che la Corea del Sud, già eliminata, rifili due pappine ai panzer tedeschi e li sbatta fuori del mondiale lasciando strada libera a Svezia e Messico.
Però sono sincero, la Germania mi mancherà, perché quel gesto di Muller che incassato il gol su rigore al 91mo va dall’arbitro a chiedere “quanto manca?”e alla risposta “sei minuti” si gira verso i compagni e dice: “ragazzi sei minuti… ce la possiamo fare” è una bella immagine di sport.
Poi ci ha pensato Neur a prendere la seconda pappina ma questo è un altro discorso.

Il Brasile passa il turno al primo posto senza emozionare, sembra non avere la stoffa della grande squadra, ma da turno prossimo le cose cambieranno per tutti. Si porta dietro la Svizzera che ruba il posto alla Serbia. La nazionale slava, con un Milinkovic molto in ombra, può recriminare molto sulla sfortuna, in questa partita e in quella precedente con gli elvetici.

Oggi si conclude il primo turno dal mondiale, poi un giorno di pausa dopodiché arrivano i dentro o fuori delle eliminazioni dirette. Solo per chi ce la fa, direbbe un dj bravo.