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Kick it in – Il Divin Codino: un po’ di quel che il film non dice.

Pubblicato il 10 Giu 2021

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Roberto Baggio per noi è stato l’ultimo supereroe del calcio.

L’ultimo che riusciva con la sua sola classe a mettere in difficoltà tatticismi basati su marcature ultra-muscolari e pressing asfissianti che tanto hanno fatto vincere ad alcuni mister ma anche tanto hanno tolto alla bellezza del calcio.
Dopo di lui i campioni, anche quelli che portano il numero 10 sulle spalle, sono cambiati. Del Piero e Totti, tecnica sopraffina ma fisico e muscoli che ne aumentavano velocità e resistenza. Zidane, giocatore che sembrava disegnato per la Play Station e realizzava gol che neanche sui videogiochi sembravano credibile (guardare la finale Real Madrid-Bayer Leverkusen per credere) ma anche lui super palestrato, Cristiano Ronaldo che numero dieci in realtà non lo è stato mai ma il perfetto prototipo dell’attaccante del futuro.
Però c’è anche Leo Messi che, forse è il primo che dopo Baggio può essere considerato il vero erede di quella scuola di numeri 10 che tanto ha fatto sognare i calciofili. Oggi una nuova generazione di 10 sta riscattando il ruolo: Dybala, Depay,  Insigne, Erikssen. Dopo un lungo periodo in  cui, calciatori come loro, venivano considerati troppo fragili per i campionati europei.

“Il Divin Codino” film biografico recentemente uscito sulla piattaforma Netflix è un buon film ma è stato ricoperto di critiche dovute al fatto che si sofferma solo sulle difficoltà dell’uomo dietro al campione. Difficoltà nel rapporto con gli allenatori, difficoltà dovute agli infortuni e alla mancata convocazione al mondiale del 2002.  Critiche comprensibili e in parte azzeccate, perché il difetto principale di questa biografia è che si capisce poco la grandezza del Roby Baggio calciatore. Ma diversamente sarebbe stata un’agiografia o sarebbe dovuto durare dodici ore se doveva raccontarci tutto di Roby Baggio.

In realtà per chi ha letto il libro “Una porta nel cielo/Il sogno dopo”, biografia del campione uscita a cavallo del famoso mondiale coreano e del suo ritiro nel 2004, la scelta degli autori è comprensibile e, la “firma” finale del diretto interessato con i suoi ringraziamenti fa pensare che il divin codino condivida questa impostazione. Probabilmente perché le sue sconfitte sono quelle da cui ha imparato di più e forse anche per la vecchia legge che molte vittorie non bastano a cancellare il ricordo di una sconfitta pesante.

Ad ogni modo per chi non ha vissuto live la carriera di RobertoBaggio (tutto attaccato, come si pronunciano i nomi dei grandissimi ad esempio GigiRiva, FrancoBaresi, DinoZoff)  il film ha un difetto:  lascia l’impressione che la sua storia sia quella “normale” di un grande campione che ha dei contrasti con degli allenatori in parte per la sua presunzione e in parte per la loro.

Non è così. Roberto Baggio aveva (quasi) sempre ragione nelle sue posizioni ed anche la sua storia di calciatore è diversa.

Partiamo dagli allenatori. Nel film viene evidenziato il pessimo rapporto con Arrigo Sacchi e Giovanni Trappattoni, Lippi viene solo nominato. In realtà a parte Eriksson che provò a scambiarlo con il mediano romanista Gerolin al suo secondo anno a Firenze (e Liedohm disse “no” perché di mediani buoni se ne trovano pochi) Roberto Baggio ha avuto ottimi rapporti, oltre che con Carletto Mazzone, con Gigi Maifredi nella sfortunata avventura di questo alla Juventus e con Azeglio Vicini in nazionale.
Detto questo Arrigo Sacchi, arrivato in nazionale nel 1992 perché Berlusconi non ne poteva più di vederlo al Milan, arriva alla finale del 1994 solo per due motivi. Il ben noto “cul de sac” (che lo accompagna fin dalla famosa partita rinviata a Belgrado quando il Milan sarebbe stato eliminato dalla Stella Rossa) e Roberto Baggio per l’appunto.
Nel 1994 l’allenatore Sacchi era ormai prigioniero del suo personaggio. Caricatura di se stesso, chiuso in schemi comprensibili solo a lui per i quali veniva anche preso in giro da mai dire gol, e con una squadra che segnava solo quando se ne fregava di questi e dava pallo a Roberto Baggio. Squadra che fra l’altro arrivò seconda a quel mondiale con molti campioni lasciati inspiegabilmente a casa per incompatibilità con Sacchi. Basta pensare a Gianluca Vialli (forse il più grande centravanti italiano di tutti i tempi insieme a Riva) lasciato a casa in favore di Massaro e Casiraghi. Alle fenomenali ali destre che esaltavano i tifosi  come l’interista Bianchi, il sampdoriano Lombardo e lo juventino Di Canio lasciate tutte a casa per proporre Nicola Berti esterno, ruolo che non aveva mai ricoperto neanche nei pulcini.

Roberto Baggio sbaglia il rigore decisivo, è vero. Magari sarebbe opportuno ricordare che se lo avesse segnato l’Italia avrebbe perso lo stesso (quasi sicuramente) perché non era così decisivo… infatti il turno precedente l’errore di Massaro aveva portato in vantaggio i brasiliani, che nel caso Baggio avesse segnato avrebbero avuto ancora un rigore da tirare (chissà chi, forse Bebeto o Cafù o Aldair, di certo le scelte ne avevano).
Ma cosa ha fatto Sacchi dopo quella finale mondiale? Una figuraccia all’europeo del 2004  quando dopo aver vinto 2 a 1 con la Russia per dimostrare che contavano più i moduli dei giocatori cambiò nel match successivo 10/11 della squadra e perse malamente contro la Rep. Ceca per poi essere eliminato dalla Germania nell’ultima partita del girone. Tornò ad allenare le squadre di club, ma dopo alcuni fallimenti ammise di non essere più in grado di sopportare la pressione e si ritirò.
Cosa ha fatto Baggio dopo Usa ’94? ha vinto uno scudetto con la Juventus e uno con il Milan (uno dei pochi calciatori a vincere due scudetti consecutivi con due maglie diverse, e a chi dice che non giocò da protagonista bisognerebbe ricordare le statistiche: miglior assist-man del campionato con i rossoneri e 8 gol in 17 partite in quello bianconero, in una stagione in cui pagò gli infortuni  e le fatiche del mondiale); ha fatto impazzire le piazze di Bologna e Brescia trascinandole in coppa uefa (fra le due piazze ha litigato anche con Lippi all’Inter, ma anche in quel caso aveva ragione Baggio e lo dimostra il fatto che dopo averlo cacciato dalla squadra l’anno successivo Lippi si dimetterà alla prima partita di campionato).
Il divin codino chiuderà la carriera con un totale di 699 presenze e 318 reti (e innumerevoli assist) fra club e nazionale. Niente male per un “nove e mezzo“, un “coniglio bagnato” un “rovinaspogliatoi“. Roberto Baggio era invero un grande  fantasista, un numero dieci come Di Stefano, Maradona, Pelè, Zico, Platinì. Ha avuto la sfortuna di trovare un decennio in cui le grandi squadre vedevano il modulo 442 con difesa e centrocampo in linea e due punte vere davanti come unico modo di giocare, ma li ha fatti soffrire quei tecnici zonisti, e neanche poco.

Quanto al Trapattoni che grazie a Baggio aveva salvato le tre stagioni  nel suo ritorno alla Juventus dal 1992 al 1994 vincendo la coppa Uefa e collezionando tre secondi posti dietro all’inavvicinabile Milan di Capello,  che dire… solo che il mondiale di Corea del 2002 (da cui aveva escluso Baggio) fu quello in cui si vide giocare una delle peggior nazionali di sempre, che schierava un 5-4-1 con l’Ecuador perché giocava il terzino De La Crus (chi?),  che perdeva con la Croazia e si qualificava grazie a un vergognoso pareggio col Messico e infine salvò la faccia grazie a Byron Moreno. Perché diciamo così? Beh, perché  tutti ricordano gli errori (errori?) di quell’arbitro (arbitro?)  che mandarono avanti i Coreani e non il fatto che non siamo stati in grado di fare un tiro in porta se non casuale in quattro partite.
Se il Trap avesse chiuso la carriera con lo scudetto vinto con il Bayern Monaco sarebbe rimasto un mito, ma purtroppo non sono solo i calciatori a non capire quando è ora di chiuderla una carriera.

Roby Baggio è stato unico o quasi.

Roby Baggio non è stato come Francesco Totti. Al di là delle differenze fisiche fra i due, Totti è sempre stato una bandiera di una sola squadra, la Roma. Il che può essere di certo un motivo di vanto per lui e per i suoi tifosi, ma Roby questa possibilità non l’ha avuta. Benché avrebbe voluto essere per sempre la bandiera della Fiorentina strani giochi di potere e soldi glie lo hanno impedito costringendolo de facto ad andare alla corte di Agnelli.

Roby Baggio non è stato come Alessandro Del Piero. Se Totti è stata la bandiera giallo rossa per eccellenza negli ultimi decenni, Del Piero è stata quella della Juve. Ma i tifosi della Juve non avevano preso bene il passaggio del divin codino ala corte di Silvio Berlusconi e anche se non hanno messo a ferro e fuoco la città come i fiorentini si sono fatti sentire. Ma in quella stagione, 1995-96, arrivò il secondo trionfo della storia bianconera in coppa dei campioni (che per ora resta anche l’ultimo visto che sono seguite cinque finali perse… ah le maledizioni del calcio, altro che la stregoneria)  e con quello si perdonò tutto. Baggio però è stato amato da tutta Italia, Del Piero solo dagli juventini (e i pochi tifosi in grado di essere sportivi). Del Piero forse è quello che fisicamente lo ha ricordato di più in campo e per la serietà professionale anche fuori.

Roby Baggio non è stato come Diego Armando Maradona. Lasciando perdere annessi e connessi al mondo del calcio e il paragone dell’infortunio in giovane età, la carriera di Diego si concentra nei sette anni napoletani a cui si possono aggiungere i due con il Barcellona. Un totale di nove anni e un ritorno di pochi giorni a Usa ’94. La carriera di Roby ad alto livello è durata diciassette anni.

Roby Baggio non è stato come Michel Platini A proposito di calciatori che non vogliono smettere mai c’è chi fa esattamente l’opposto. Le Roi Michel che a Torino ha dato il meglio della sua carriera sfidandosi con Diego in tre memorabili campionati, a 32 anni disse stop. Problemi fisici, non se la sentiva di affrontare un’operazione, non accettava di mettersi a giocare da ragioniere davanti alla difesa, aveva vinto tutto (eccetto il mondiale) e disse basta così. C’è da pensare che un certo peso in questa scelta lo ebbe quella triste notte dell’Heysel.

Baggio ha avuto una storia unica e forse, un poco più sfortunata di questi altri grandi. Non ha mai vinto un mondiale e non ha mai neanche vinto la champions, eppure quando lo nomini ti vengono i brividi perché forse più degli altri ha combattuto tanto per vincerle. Umanamente  questo ce lo rende più simpatico.
E poi basta con il parlare soltanto di quel maledetto mondiale del 1994, Roby Baggio ce lo ricordiamo anche ad Italia ’90, che seminava il panico fra i cecoslovacchi e segnava un gol meraviglioso allo stadio olimpico, e ancora in quella maledetta notte di Napoli dove prima coglieva la traversa su punizione e poi i rigori, i primi maledetti rigori: Roby segnava il suo… Donadoni e Serena no.
E lo ricordiamo anche al mondiale francese del 1998, con Cesare Maldini in panchina che lo usava come arma risolutiva… e aveva quasi funzionato, come dimenticare quel suo tiro di esterno destro che gela Barthez e ammutolisce l’Estade de France per lunghi secondi fino a quando arriva quel vriiiin metallico del cuoio che sfiora il palo, ma dalla parte sbagliata  mentre tutti noi stavamo già esultando? E anche in quel quarto di finale con i futuri campioni del mondo Roby Baggio segnò il suo rigore, Di Biagio no.

Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore/ non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore/ un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. (F. De Gregori – La leva calcistica del ’68) 

Roberto Baggio: coraggio10, altruismo 10, fantasia 10. E che si fottano i rigori sbagliati.