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ASPETTANDO LA FINE DEL MONDO. IL MIO FUNERALE

Pubblicato il 29 Mag 2019

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“Il tuo funerale? Ma che ti vuoi portare sfiga da solo?”

Lo so, noi italiani a causa del nostro background culturale di certi argomenti non ne parliamo mai.  E così, quando qualcuno ci lascia, magari in maniera inaspettata (perché la vita è una scatola di cioccolatini, Forrest) puntualmente i sopravvissuti si tormentano nelle domande (per lo più inutili) che iniziano sempre con “chissà se gli sarebbe piaciuto che…”

Invece sana e buona usanza anglosassone che accetta l’inevitabilità della morte (unica cosa certa della vita insieme alle tasse) è quella di lasciare le disposizioni che non riguardano solo quelle del “living will” ovvero il nostro “biotestamento” che ci protegge da tubi invadenti che ci costringerebbero a una vita vegetale (che se poi uno la vuole, che se li faccia pur mettere, beninteso) ma anche quelle riguardanti al funerale.

Ecco, premesso che quanto mi succederà “dopo” (ammesso che esista un dopo nel senso temporale, come direbbe Carlo Rovelli) penso che mi sia del tutto indifferente viste le mie convinzioni ben poco mistiche e trascendentali, mi piace (oggi) sapere che voi siete a conoscenza di come io organizzerei il mio funerale.

Parte prima: cerimonia rigorosamente laica svolta più o meno dove ve pare nonché dove ve la fanno svolgere. Addobatela un po’ come volete la sala, se portate le bandiere che siano rosse o se sono tricolori che almeno abbiano la stella rossa in mezzo, iniziare con una canzone partigiana tipo “Siamo i ribelli della montagna” non sarebbe male come idea, dite quello che preferite, leggete qualcosa di epicureo, se dovete pregare fatelo in silenzio e poi chiudete con “What a wonderful world” di Louis Armstrong. Ecco, questo sarebbe da parte vostra una cosa molto gradita prima di portarmi al forno crematorio.

Parte seconda: il fine settimana successivo, gli amici (stretti o larghi che siano) che spero ce ne saranno ancora tanti in vita mi piacerebbe che affittassero un casolare, un centro sociale un qualcosa che assomigli a un posto grande con un po’ di stanze. Che portino lì la mia urna ma non mettetela su un altare, mettetela sopra il divano, in un posto che non dia fastidio ma dove magari ci possa cadere un po’ di cenere di sigaro o qualche goccio di birra durante una bella festa in cui i più giovani (magari morirò a 90 anni e avrò ancora qualche amico giovane) balleranno su un po’ di musica folk italo-irlandese, oppure mariachi messicana, oppure il folk di Springsteen/Seeger di Pay me my money down, o qualche grunge arrabbiato dei Pearl Jam o di chi ci sarà allora, o cose anche più metal che non siano troppo trash, insomma che i giovini (dentro) ballino bevino e si divertino. Nelle altre stanze, leggete o scrivete qualche libro, vedete film, organizzate una ventiquattr’ore di poker o di risiko o di scacchi, ping pong, parlate di Kant, discutete sull'(in)esistenza di (un) dio, dormite, andate a fare una bella camminata all’esterno, assaggiate tutti i whiski del mondo per stabilire qual’è il migliore, fate una carbonara o un’amatriciana alle due del mattina, insomma, organizzate una bella festa per tutti per almeno un paio di giorni. E non fate i tirchi, avete già risparmiato sulla bara, cazzo.
Quando finirà questa festa ed arriverà il momento di tornare a casa, vorrei che ascoltaste un ultima volta tutti insieme “We shall overcome” e poi che lasciate le mie ceneri a Stefania (che se non se la tira troppo dice che vivrà più a lungo di me) lei saprà cosa farci, ma questo se permettete è una cosa che riguarda noi.

Roger?

Oh, ma cosa sono quelle facce? allora non ci siamo capiti! Cambiate il vostro rapporto con l’inevitabile e ricordatevelo sempre: “Chi non ha paura di morire muore una volta sola”.