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Aspettando la fine del mondo. Campovolo 2020+2 nonostante tutto.

Pubblicato il 5 Giu 2022

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Lo zainetto, spesso portato su una spalla sola, per la mia generazione di boomer è quasi un segno di riconoscimento. Per noi ha sostituito, in parte, le mitiche cartelle verdi degli anni ’70. Io sono sempre stato combattuto fra l’uno e l’altra ma di certo lo zainetto l’ho usato di più, perché oltre che per andare a scuola o all’uni (e oggi al lavoro) può essere usato per infinite altre occasioni.
I concerti per esempio.
Quando vai a un concerto lo zainetto è fondamentale. Non ci sono discussioni. Un marsupio? Ma cosa ci vuoi mettere in un marsupio a parte un paio d’euro e le sigarette? E la felpa per quando esci se fa freddo? E il telo da mettere per terra in attesa? E non ti porti un libro da leggere, o un giornale? E la macchina fotografica? O un qualcosa di strano per ingannare il tempo? O un portafortuna? Ah già… non sono scaramantico che porta sfortuna essere scaramantici. Ma se non mi porto un portafortuna perché non sono scaramantico allora significa che sono scaramantico, che fare? Mi porto un portafortuna qualunque, a turno. Mica sempre lo stesso, sennò sarei scaramantico! Stavolta è toccato alla mini consolle gaming dell’Atari.
Stanno lì, saltano con te, corrono con te per prendere il treno e le navette e poi, quando hai percorso a ritroso le centinaia di chilometri che ti separavano dal megaconcerto cominci a tirar fuori tutto.
“Il peso della valigia”; quello che, secondo Liga, sono solo quattro farfalle un po’ più dure a morire.
Eppure di quelle farfalle che escono fuori dalle mie valige alla fine di viaggi o concerti o cose del genere, non posso proprio farne a meno. Continuo a guardarle, a tenerle, a riposizionarle sugli scaffali e a catalogarle quasi. Forse quando sarà un momento di arrivo, da qualche parte, aprirò lo zaino (o la valigia) e non ci troverò più nulla se non quelle quattro farfalle che se ne vanno libere e irridenti… ma per il momento continua tutto a venire con me.
Nello zaino al ritorno del concerto c’è poi il bottino delle nuove “farfalle”. Stavolta, pensa te, c’è uno zaino nuovo nello zaino vecchio! O compravo quello o la classica t-shirt del resto… variazioni sul tema! Poi altre chincaglierie per fans a cui no, non riesco proprio a resistere.
E i biglietti, ovvio. Non ho mai perso un biglietto di un concerto dopo il concerto, non che mi ricordi almeno.
“Abbiamo vinto noi!” ha urlato il Liga nella prima canzone con cui ha voluto iniziare i 30 anni (i due della covid non contano, parole sue). Ha ragione. E anche se non ce l’avesse, va bene lo stesso. Perché ogni tanto ti serve che qualcuno di cui ti fidi ti dica “Abbiamo vinto noi!”.
Oppure che ti dica “Siamo ancora in piedi”, o magari che “Certe notti” sono solo tue e di chi è come te.
Che saranno pure slogan certo ma, ne converrete, di un altro livello rispetto a quel “ne usciremo migliori” pronunciato dai mezzobusti in tv.
Era un bel po’ che dovevo andare a campovolo… i tre precedenti, nel 2005, nel 2011 e 2015 mi eran tutti saltati per impegni o malattia. Saltati per ben due volte con i biglietti in mano per di più. Per quello previsto a settembre 2020 (e fatto ieri) i biglietti erano stati il mio regalo di Natale (2019!) per mia moglie… e quello che è successo in seguito non c’è bisogno che ve lo ricordi.
Ora se fossi scaramantico, e questo dimostra che non lo sono, avrei dovuto prendere quei biglietti e fare un rito di purificazione dal malocchio e magari, già che c’ero, smettere proprio di andare ai concerti, che hai visto mai!
Invece, come ogni vero fan del Liga sa che bisogna fare… tieni botta, riprendi fiato, lavori sui polmoni mentre aspetti l’aria che fa il giro li toccherà, fatichi come Oriali e dopo anni di fatica e botte vinci, casomai, i mondiali.
Oppure vai a un campovolo con Eugenio Finardi, Loredana Bertè, Elisa, Gazelle e Francesco De Gregori che rendono omaggio a Liga.
E la scaramanzia muta.
Ovviamente poi, “Il meglio deve ancora venire”, lo sappiamo.
Grazie Liga.